In un momento in cui i produttori lanciavano bionde dal fascino irresistibile,
Bette Davis divenne una delle più grandi e delle migliori attrici che Hollywood
abbia mai creato nella sua storia.
Nata nel Massachusetts nel 1908, da padre inglese, Harlow Morrel, e da madre
francese, Ruth Favour, viene chiamata così perché la stessa madre aveva letto un
libro di Honorè de Balzac, “La cugina Betta”, all’età di sette anni il padre
abbandona la famiglia e la madre che, di professione fotografa, è costretta a
mettere sia Bette che sua sorella minore in un collegio. La giovane Davis studia
recitazione presso la scuola John Murray Anderson e dopo alcune recite,
ottenendo un buon successo, benché ancora giovanissima, va a Broadway dove si
esibisce in due spettacoli “Broken Dishes” e “Solid South” e, a 22 anni, viene
subito ingaggiata dalla Universal con un contratto regolare. L’epoca nella quale
voleva affermarsi come attrice non le fu di aiuto, infatti era carina di viso
con un corpo nella noma, e il suo stile recitativo era duro, tutto il contrario
di ciò che i produttori e il pubblico volessero, ma la sua ambizione di rimanere
sulla scena e recitare la portò ad una grandissima carriera nel cinema.
Ciò è testimoniato quando il 3 dicembre 1930 arrivò ad Hollywood e, scesa alla
stazione ferroviaria, non trovò nessuno ad attenderla. Pare che così non fu in
quanto la Universal aveva mandato un rappresentante che dichiarò in seguito di
non aver visto nessuno che somigliasse ad una attrice. A seguire dopo il suo
primo film “Bad Sister” (1931), il produttore Carl Laemmle disse: “Com’è
possibile girare un film in cui un uomo ne passa di tutti i colori e concluderlo
con l’inquadratura di un viso simile?”. Dopo cinque film di scarso successo, la
Universal decise di chiudere il contratto con la Davis, la quale mentre stava
con la madre preparando i bagagli per tornare a New York, ricevette una
telefonata da George Arliss. All’epoca l’attore era famosissimo, lavorava per la
Warner Bros e decise con Murray Kinnel dopo averla vista lavorare in “The
Menance” (1932), che la giovane attrice poteva lavorare con Arliss in un nuovo
film intitolato “The Man Who Played God” (1932).
Ricorderà il celebre attore nella sua biografia: “Mi attendevo (da lei) solo una
piccola, discreta prestazione, ma quella particina si trasformò in una creazione
viva, profonda…come un raggio che illumini parole banali infondendovi
passionalità ed emozioni. Era un talento che non poteva restare a lungo in
ombra”.
Ma alla Warner non la capirono subito, gli affidarono piccoli film senza
rilievo, benché lei aumentasse rilievo visivo e recitativo in ogni film. Quando
recitò in “Tentazioni” (Cabin in the Cotton), 1932, la sua performance su
energica, impegnativa, con un forte accento del Sud. Nel 1935 ne “Selvaggio” (Bordertown)
addirittura, mentre lavorava sul set, ebbe un scontro con il regista Archie Mayo
su come avrebbe dovuto interpretare la scena di pazzia. La spuntò sul regista e
ottenne sia lei che il film un forte successo di critica e pubblico .
L’attrice non era solita a litigi frequenti con registi e produttori, ad esempio
per ottenere la parte in “Schiavo d’amore” (Of Human Bondage), 1934, lotto non
poco per riuscire a recitare in questo film. Il regista John Cromwell la vedeva
bene nei panni di Mildred, una cameriera che seduce un giovane studente di
medicina. Lei era sotto contratto della Warner, che si rifiutava di cederla alla
RKO. Fu lei stessa che per sei mesi tutti i giorni tormentò i fratelli Warner,
che alla fine la cedettero pur di non sentirla e vederla più!
Nella sua biografia “The Lonely Life” dice: “I miei datori di lavoro ritenevano
che l’affidarmi la parte di eroina tanto sgradevole sarebbe valso ad un suicidio
artistico...Penso che mi identificassero con il personaggio e ritenessero che
fossimo l’uno degno dell’altra”. Rivisto oggi il film non ha nulla di
particolare, la stessa attrice si presenta normalmente anche sotto il profilo
recitativo, non sembra essere una delle sue meravigliose performance, ma si vede
già che ha coraggio a recitare una parte che la vede in un ruolo odioso e
scostante (all’epoca chi recitava preferiva solo interpretazioni che
suscitassero nel pubblico simpatia) ed è efficace nel suo sguardo. Se non fu per
questo film neppure candidata all’Oscar, l’anno successivo il 1935 in “Paura
d’amare” (Dangerous) ottenne l’Oscar e quando lo ebbe tra le mani dichiarò
spudoratamente che quel premio non era per quest’ultimo film, ma per il
precedente. La Warner pareva non capirla, ma soprattutto non capiva bene come
utilizzarla, quali parti potevano andar bene per lei. La stessa Bette Davis si
lamentava sempre quando leggeva il copione, vedeva che i suoi personaggi non si
adattavano bene al suo stile, cosicché lei stessa si adoperava alle volte a
riscrivere intere battute. La grande scoperta del suo talento arrivò nel 1936
con “La foresta pietrificata” (The Petrified Forest), nella quale interpretava
Gaby una donna semplice, tenera e riservata, lasciando di stucco il pubblico e
ammaliando così anche la critica, che non aveva avuto ancor modo di poterla
identificare come una possibile star.
Nonostante ciò l’attrice non aveva dei buoni rapporti con la Warner che
insisteva ad offrire parti di poco spessore come “Mogli di lusso” (The Golden
Arrow), 1936 o persino un film quasi comico ricavato dal celebre romanzo “Il
falco maltese” (Satan Met Lady). Molto adirata per questi flop commerciali, la
Davis era disposta a tutto pur di sfidare i famosi produttori, chiese persino di
fare pochi film, ma che fossero buoni pur di salvare la sua reputazione. La
Warner in risposta la ricattò con questa proposta: fare “la legge della foresta”
(God’s Country and the Woman), e ottenere in cambio la parte di Rosella O’Hara
in “Via col vento” (Gone With the Wind). Su tutte le furie l’attrice rifiutò e
la Warner la mise in castigo per tre mesi senza farla lavorare, resistette
rifiutando altri due film dicendo: “Se continuassi ad apparire in film mediocri,
non avrei più una carriera per cui lottare”. Mentre sembrava quasi tutto senza
una soluzione, apparve Ludovico Toepliz, produttore di film in Inghilterra, il
quale le offrì di fare due film e di pagarla con 20.000 sterline ad opera, in
più poteva supervisionare il copione. L’attrice accettò immediatamente, ma
appena giunta in terra inglese trovò una lettera dei Warner con un’ingiunzione
che le proibiva drasticamente di fare film al di fuori del suo contratto
americano pluriennale. Nacque così una bega legale, che all’epoca appassionò
molti attori ed attrici (infatti se avesse vinto la Davis sarebbe cambiato il
metodo dello Studio System). Bette Davis perdette la battaglia, fu costretta a
tornare alla Warner, però non ci perdette nulla, infatti la stessa Warner gli
pagò le spese legali e da questo momento in poi ebbe film che la consacrarono
come una delle migliori attrici di quell’epoca.
Così appena tornata a Hollywood, l’attrice seppe dimostrare il suo talento
drammatico in “Le cinque schiave” (Marked Woman), 1937, in cui si parlava del
problema della prostituzione. Già nel 1938 con “La figlia del vento” (Jezebel)
si iniziò a scrivere copioni appositamente creati per il suo stile recitativo e
per il suo portamento. Nacquero così i “film di donne”, drammi più o meno
sentimentali fatti di amori spesso difficili, impossibili, con sacrifici
estremi. Questo tipo di opere sembravano di poco conto, ma, riviste oggi,
rappresentano un documento sociale del tempo ed erano molto apprezzate dal
pubblico degli anni Trenta e Quaranta. La David spadroneggiava in questo tipo di
film, lei stessa si batteva in continuazione affinchè i dialoghi fossero molto
curati e rendessero attuali le problematiche del mondo femminile. Certe opere
risultarono di grande fascino sul pubblico americano e internazionale: “La
figlia del vento”, come accennato sopra, la rendeva una donna senza scrupoli in
una società del Sud, che la faceva diventare un’eroina contrapposta al
masochismo perverso di certi uomini. “Tramonto” (Dark Victory), 1939, la si
vedeva alle prese con una malattia che la rendeva sempre più agonizzante. Portò
sullo schermo anche la figura di Elisabetta I d’Inghilterra ne “Il conte di
Essex” (The Private Lives of Elizabeth and Essex),1939, nel quale seppe creare
un personaggio “quasi di cera”, visto come si truccò e recitò in una maniera
eccezionale. In “Perdutamente tua” (Now, Voyager) era una zitella frustrata che
si tramuta in una donna matura e comprensibile, rendendo il suo personaggio
commovente e apprezzato dal pubblico. Al che nel 1946 decise di fondare una sua
casa di produzione che però aveva come distributore nazionale sempre la Warner.
Realizzò “L’anima e il volto” (A Stolen life) nel quale faceva le parti di due
gemelle una buona e l’altra maligna che s’innamorano dello stesso uomo. Non le
piacque questo mestiere e lei stessa affermò: “Non ho mai ‘prodotto’, mi sono
semplicemente intromessa nella realizzazione di alcuni film, com’era del resto
mia abitudine. Se ciò può essere definito ‘produzione’ allora per anni sono
stato una magnate del cinema!”. Dopo questa esperienza l’attrice trovò una seria
difficoltà nel cercare un soggetto per la sua mole recitativa. “L’uomo proibito”
(Winter Meeting), 1948, storia di una poetessa che incontra un ufficiale di
marina desideroso di farsi prete, non riscosse alcun entusiasmo, peggio andò per
“Peccato” (Beyond the Forest), 1949, imposto dalla Warner, benché la Davis non
lo volesse fare a causa della parte che richiedeva un attrice molto giovane e
lei non lo era più. Risultò buona la sua interpretazione per quest’ultimo film,
ma al pubblico non piacque affatto, così l’attrice decise di rompere il
contratto con la Warner. Lo stesso produttore Jack Warner accettò, benché la
stava pensando come Blanche per il prossimo film “Un tram che si chiama
desiderio” (A Streetcar Named Desire), 1951.
Mentre era sotto contratto con la RKO e stava realizzando “L’ambiziosa” (Payement
on Demand), 1951, fu chiamata dalla Fox per interpretare la matura ed arguta
Margo Channing in “Eva contro Eva” (All About Eve). Film pluripremiato e
acclamato come capolavoro nel quale la Davis diede tutto il meglio di sé e così
dichiarò: “Nessun altro film mi entusiasmò altrettanto e mi diede la stessa
soddisfazione dal primo all’ultimo giorno di lavoro…Fu un grande film diretto da
un grande regista, con un cast di professionisti in ruoli a loro congeniali…Dopo
la proiezione dissi a Joe (Mankiewicz) che mi aveva resuscitata”.
Gli anni Cinquanta non furono prolifici sotto il profilo del successo dopo “Eva
contro Eva”, la Davis altalenava film mediocri o sufficienti, non all’altezza
della sua fama. Nel 1962 tornerà alla ribalta grazie al regista Robert Aldrich
in “Che fine ha fatto Baby Jane? (What Ever Happened to Baby Jane?). Un film che
ottenne un grandissimo successo, la Davis recitò divinamente sapendo di avere
accanto come partner, un’altra grandissima attrice, Joan Crawford. Dopo questo
momento di gloria, i produttori e registi capirono che era il momento di
sfruttarla sul genere horror, vista anche l’età che avanzava e la sua bellezza
non poteva più essere fruttata, ma questa scelta gli costò altri insuccessi
commerciali.
L’età, ormai avanzata, non le permise più ruoli carismatici, ma lei stessa non
si arrese mai come disse una volta: “Non commetterò mai l’errore di ammettere
che sono in pensione. Si va in pensione quando si è finiti. Ci si deve solo
accontentare di interpretare parti di donne sempre più vecchie. Diavolo, sarei
in grado di sostenere un milione di parti del genere, ma sono decisa a non
essere più la protagonista in un film e preferisco non vedere più il mio nome
subito sotto il titolo”. È il suo fascino ancor’oggi a colpire, il suo stile
recitativo (che prese il nome di “recitazione alla Davis”) per i suoi sguardi
arcigni e acuti, i suoi scatti e la sua presenza che affascinò in ogni ruolo che
seppe interpretare, facendosi considerare da critici e da tutto il pubblico del
mondo una delle migliori star di Hollywood.
G.R.
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