Fritz Lang era un viennese nato nel 1890, che sin dalla sua giovane età dimostrò
subito di non sapersi adattare con facilità a certe circostanze della vita
spesso inaccettabili.
Studiò poco e male, a 18 anni non riuscì a prendere la maturità asburgica e si
iscrisse ad architettura, ma non perché gli piacesse, voleva semplicemente
accontentare i suoi genitori: la madre di orgine ebraica e borghese, convertita
al cattolicesimo, e riprendere le orme del padre che era un costruttore di
successo. Non finì neppure questi studi, ma preferì andare a Monaco e da lì
iniziare a girare il mondo e a dedicarsi a ciò che più gli piaceva: la pittura.
Nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale e Lang tornò subito in Austria dove si
arruolò nell’esercito, ottenendo numerose decorazioni, che sembrano dargli un
senso ad una vita che ancora stentava a decollare. Ferito e portato in ospedale
conobbe il regista cinematografico Joe May, al quale sottopose alcuni schetch e
racconti che aveva scritto nel corso dei suoi viaggi. Il regista dopo averli
letti li acquistò tutti e ingaggiò Lang come suo sceneggiatore.
Così ebbe inizio la carriera cinematografica uno dei più grandi maestri del
cinema americano.
La sua prima sceneggiatura fu per il film “Die Hochzeit in Exzentric-Club”
(1917), ormai andato perduto, ma si sa che Lang non fu affatto soddisfatto nel
vederlo sullo schermo, tanto che prese una decisione drastica o mettersi dietro
una macchina da presa o abbandonare il cinema. Scrisse altre sceneggiature per
film oggi andati irrimediabilmente perduti, ma evidentemente chi dirigeva questi
film non riusciva a rendere in immagini ciò che Lang aveva scritto e pensato.
Così nel 1919 diresse di sua mano “Halbblut” (perduto anche questo), ma il
giovane regista aveva notato che in Germania la situazione si stava facendo
pesante e si giravano principalmente film di evasione, così comprese che anche
il genere sensazionale e il romanzesco potevano attrarre il pubblico e allo
stesso tempo lo facevano riflettere sulla vita.
Intanto conobbe il produttore Erich Pommer, che aveva una sua filosofia: creare
“Qualitatsfilmen”: aveva visto che il cinema americano produceva film
esportabili, che conquistavano facilmente ogni mercato del mondo, così anche lui
voleva che si facessero i film in Germania, belli e commerciabili anche
all’estero. Pommer vide in Lang un potenziale genio, un uomo in chiave
aristocratica, sebbene non lo fosse, e l’incantesimo del produttore si compì nel
momento in cui Lang convolò a nozze, per la seconda volta, con una scrittrice
della piccola nobiltà prussiana, Thea von Harbou. Lang trovò così un’anima
gemella della scrittura e con lei iniziò una lunga collaborazione
cinematografica.
Nel 1920 a causa di altri impegni non dirige “Dott.Caligari”, la moglie di Lang
inizialmente non partecipa alla stesura di alcuni film che tuttavia non
produssero grande successo, ma il loro primo film insieme è “Destino” (Der mude
Tod), 1921 un film in tre episodi ambientati a Bagdad, a Venezia nel XV secolo e
in Cina mostrarono per la prima volta il gusto langiano per l’esotico e il
kitsch, ma anche si vide per la prima volta il mescolare nella trama mistero e
melodramma in una forte storia d’amore. L’uso ampio di effetti speciali piacque
molto al pubblico: cavalli volanti, rotoli di pergamena che si muovevano da
soli, un esercito in miniatura che usciva da una scatola ecc…, dopo numerosi
anni lo stesso Lang diceva: “Douglas Fairbanks comprò il film, lo ritirò dalla
circolazione e lo plagiò da cima a fondo.
E tutti gli effetti speciali furono ripetuti ne “Il ladro di Bagdad” del 1924”.
A seguire fu realizzato “Il dottor Mabuse” (Dr.Mabuse der Spieler) 1922, che
mostrò l’interesse per l’ambiente urbano e per il genere thriller e sarà il film
che lo renderà famoso in campo internazionale. Nel 1924 diresse “I Nibelunghi” (Die
Nibelungen), creato in due parti: “La morte di Sigfrido” (Siegfried) e “La
vendetta di Crimilde” (Kriemhilds Rache). Un’opera gigantesca, di cui l’autore
non ebbe mai molta simpatia forse a causa del personaggio Sigfrido che trovava
poco eroico. In campo internazionale ebbe un forte successo: la creazione di
foreste, ambientazioni così particolari e caratteristiche, che imposero Lang
come il miglior regista tedesco del tempo. “Metropolis” (1926) era ambientato in
una città futuristica e i lavoratori sfruttati erano sul punto di rivoltarsi
contro i governanti. Anche quest’opera a distanza di anni fu criticata dal
regista perché poco razionale e troppo legata alla magia e alla scienza, ma
tuttavia oggi appare un film critico verso il futurismo e la meccanicizzazione
dell’uomo e del lavoro e mostra un’altra grande opera di stile e ambientazione
tedesca. Nel 1931 realizza il suo primo film parlato, “M, il mostro di
Dusseldorf” (M), un capolavoro di maestria cinematografica definito da molti il
manifesto dell’espressionismo tedesco, con Peter Lorre nei panni di un assassino
accusato di aver ucciso delle bambine.
Gli anni passarono la fama di Lang crebbe tanto da arrivare alla mente del nuovo
partito nazista che si stava creando in Germania. Ben presto nel 1933 fu
contattato da Joseph Goebbles, ministro di Hitler, affinché dirigesse il cinema
tedesco, quindi facesse film di propaganda. Si narra e lo stesso Lang raccontò
più volte che, appena ascoltata la proposta del ministro, la sera stessa del
colloqui s’imbarco verso Parigi. Forse più che la proposta di dirigere il cinema
tedesco, Lang fuggì non tanto per un problema politico quanto per la sua
condizione di essere figlio di un ebrea e poi perché in quell’anno si separò
dalla moglie Thea von Harbou. Ciò è dimostrabile dal fatto che non furono
trovati documenti nella cancelleria di Goebbles e nel suo diario che parlassero
di questo colloquio e poi il fatto che Lang non fuggì definitivamente dalla
Germania nazista, anzi attraverso il passaporto del regista vi sono stati
trovati vari visti di entrata nel suo Paese natale. A queste supposizioni resta
un fatto certo che il regista non era filo nazista, come la moglie, e appoggiava
la sinistra teatrale berlinese e dopo una breve esperienza parigina decise con
sicurezza nel 1934 di partire per Hollywood alla ricerca di una nuova condizione
di vita.
Giunto nel 1934 nella mecca del cinema, Lang firmò subito un contratto con la
Metro-Goldwyn-Mayer sotto il grande produttore David O.Selznick, fiducioso che
questi gli avrebbe subito affidato carta bianca per la sua nuova esperienza. Ben
presto il regista capì di essere finito nell’ingranaggio dello Studio System,
dove vigeva una condizione di marketing e non si aveva la libertà creativa che
si voleva. La sua fortuna fu quella di aver firmato sempre contratti brevi e di
aver potuto scegliere almeno i suoi progetti. Passarono due lunghi anni, che
fecero maturare alcune osservazioni nel pensiero langhiano: l’interesse per i
problemi legati alla giustizia, la lotta verso le circostanze e il destino della
vita, la critica sociale fecero sì che finalmente nel 1936 gli fu affidata la
sua prima regia americana. “Furia” (Fury) con Spencer Tracy mostrò subito il
talento di Lang nel saper dirigere un film assai complesso per il messaggio che
voleva esprimere: rapporto tra la folla e il linciaggio di un innocente. La
narrazione mostra al pubblico l’ingiusto arresto, il tentativo di linciaggio, il
processo senza prove concrete di colpevolezza, così il regista chiama in causa
la giustizia americana e punta il dito sui difetti del sistema, che accusa più
per vendetta che per comprendere la verità. Uno dei film più coraggiosi che si
siano mai fatti.
A seguire nel 1937 diresse “Sono innocente!” (You Only Live Once) questa volta
con Henry Fonda, il tema giustizia è portato nuovamente sullo schermo, ma questa
volta mostra come un uomo incarcerato per tre volte, ottenuta la libertà sulla
parola, viene perseguitato fino alla morte perchè la società non gli perdona il
suo passato.
I suoi film facevano dunque discutere gli americani, li appassionava con queste
storie al limite della realtà, ma all’inizio degli anni Quaranta, dopo una breve
escursione nel genere western con “Il vendicatore di Jess il bandito” (The
Return of Frank James), 1940, realizzato con toni brillanti, trovandosi di
fronte la guerra ed essendo un esule tedesco, Lang divenne il miglior
realizzatore di film antinazisti ne “Duello mortale” (Man Hunt), 1941, raccontò
il tentativo di uccidere Hitler, “Anche i boia muoiono” (Hangman Also Die!),
1943, si parlò del popolo ceco e della resistenza all’invasione nazista e
“Maschere e pugnali” (Cloak and Dagger), del 1946, il protagonista incita alla
resistenza antifascista e già si parla di bombe atomiche.
Questi film rappresentano il suo vero mondo nel quale cosciente di una realtà,
il nazismo, che si manifesta agli occhi di tutti, decise di affrontare questo
tema in chiave psicologica, quasi thriller per comprendere come un uomo folle
possa mettere a repentagli l’esistenza stessa della specie umana. Sempre negli
anni Quaranta il regista si dedicò al genere giallo/thriller, creando alcuni dei
migliori film noir della storia del cinema americano. “La donna del ritratto”
(The woman in the Wind), 1944 ne è un esempio, come anche “Il prigioniero del
terrore” (The Ministry of Fear), 1944, ambientato durante la seconda guerra
mondiale, “Strada scarlatta” (Scarlet Street), 1945, “Dietro la porta chiusa”
(Secret Beyond the Door), 1948, sono capolavori indiscussi di un genere
difficile da portare sullo schermo, ma che Lang con grande passione e cura della
scena e dei personaggi mostra di saper dar luogo ad opere realizzate al meglio.
Il regista esaminò la popolazione all’uscita della seconda guerra mondiale,
volle capire se c’erano mutamenti nella società, finì subito nella “lista nera”
del maccartismo, accusato di essere un comunista, Lang si abbandonò al
pessimismo e capì che ben poco era cambiato da quando aveva realizzato “Furia”
pareva quasi che egli stesso vivesse la tragica esperienza del protagonista del
suo primo film americano. Questo lo portò sempre più ad avere una visione cupa,
dove la violenza e la vendetta sembravano i temi costanti di un’America che si
industrializzava e viaggiava verso un nuovo e lungo progresso. Così film come
“Bassa marea” (house by the River), 1950, “La confessione della signora Doyle” (Clash
by Night), 1952, “Gardenia blu” (The Blue Gardenia), 1953 e sempre dello stesso
anno “Il grande caldo” (The Big Heat) sono i temi chiave della nuova filosofia
del regista: la violenza che si fa feroce, la giustizia che non giudica in
maniera equa i colpevoli e la società che rimane a guardare senza poter fare
nulla, mostrarono al pubblico degli anni Cinquanta che Lang aveva capito molto
bene quali fossero i rischi che si correva in quel periodo se non vi fossero
stati dei rimedi drastici.
Ancora alcuni film di questo tipo furono realizzati nella seconda metà degli
anni Cinquanta: “La bestia umana” (Human Destre), 1954, “Mentre la città dorme”
(While the City Sleeps) e “L’alibi era perfetto” (Beyond a Resonable Doubt)
entrambi del 1956, mostrarono l’ambiguità della giustizia morale, ma tra questi
il regista fece nel 1950 un film di guerra che ebbe poco successo “I
guerriglieri delle filippine” (American Guerrilla in the Philippines), una nuova
escursione nel western con “Rancho Notorius”, 1952 e un film in costume “Il covo
dei contrabbandieri” (Moon Fleet), 1955. Gli anni Sessanta decretarono la fine
della carriera del regista che vide in Hollywood, un mondo che declinava, voleva
solo film di cassetta fatti rapidamente e a basso costo e questo non andava bene
a un regista che aveva una cura maniacale dei suoi prodotti. Girò un paio di
film in India “La tigre di Eschnapur” (Der Tiger von Eschnapur” e “Il sepolcro
indiano” (Das indiche Grabmal) del 1959 ebbe successo all’estero, dimostrò a
Hollywood che era in grado di saper dirigere e così gli fu affidato il compito
di portare sullo schermo nuovamente il Dottor Mabuse ne “Il diabolico Dottor
Mabuse” (Die tausend Augen des Dr.Mabuse), 1961. Fu questo il suo ultimo film da
regista, e per quanto abbia potuto lavorare a molti progetti, ebbe dei gravi
problemi di vista e lui stesso affermò:”Come posso lavorare se non riesco a
vedere? Io devo vedere ogni cosa, controllare ogni dettaglio!” e per tutto il
resto della sua vita non lavorò più, rimase sempre lucido e morì nella sua casa
di Hollywood nel 1976.
G.R.
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