Un artigiano della vecchia Hollywood, un regista capace di raccontare storie semplici, ma renderle sempre avvincenti grazie all’azione e alla cura per gli attori che sceglieva e sapeva mettere sulla scena.
Quando nacque (il suo vero nome era Marquis Henri Leonard de Fiennes), già aveva nel sangue il mondo dello spettacolo, sin da bambino frequentava il cinematografo, i suoi genitori erano attori, suo padre era Rhody Hathaway, mentre sua madre, Lillie de Fiennes, era un attrice presso l’American Film Compagny (The Flying A) di La Massa (San Diego), uno studio della California, e sia il piccolo Henry e che sua sorella recitavano ruoli infantili. Il suo debutto come attore fu grazie al regista Allan Dwan, il quale era capace di sfornare un film al giorno, così lo impiegò in queste prime apparizioni cinematografiche.
Dalla Flying A, la famiglia Hathaway andò a vivere a Santa Barbara e qui furono impiegati in produzioni per la Thomas Ince sulla Sunset Boulevard. La mamma di Henry venne poi impiegata in vari film a episodi diretti da Francis Ford alla Universal, Il fratello John era attrezzista all’epoca e qui il giovane Henry trovò impiego anche lui come attrezzista nel 1915. Quest’anno segna l’inaugurazione della Universal City, ma Henry Hathaway dovette partire per la prima guerra mondiale, di ritorno tornò al suo impiego alla Universal e lavorò con Frank Lloyd, Paul Bern e con Erich von Sthroehim in “Mariti ciechi” (Blind Husbands) nel 1919 e nel 1922 in “Femmini folli” (Foolish Wives). Abbandonata la Universal, firmò un contratto per la Paramount e fu assistente di Joseph von Sternberg e Victor Fleming, i quali furono considerati da Henry coloro che maggiormente lo influenzarono nella sua futura carriera di regista.
Con Sternberg girò “Il castigo” (Le notti di Chicago” (Underworld) nel 1927, “Marocco” (Morocco) nel 1930 e “Shanghai Express” (id.) nel 1932, mentre con Fleming fece “The Virginian” nel 1929, primo film girato in esterni con il sonoro e poi tutta una serie di western di serie B tratta dai romanzi di Zane Grey.
Henry debuttò nel 1932, quando la Paramount decise di allestire una sua unità produttiva e autonoma per fare i film di serie B, facendo in quell’anno il suo primo film “Heritage of Desert” con Randolph Scott, un remake di una storia di Zane Gray. Pare che la casa di produzione, per non perdere i diritti di questi romanzi, dovesse fare remake di ciascun titolo ogni sette anni e Hathaway ne diresse otto, obbligato a farli e per ragioni economiche anche ad utilizzare scene dei precedenti film muti. Ma da questa esperienza i produttori si accorsero che il giovane regista metteva in scena film serrati, pieni d’azione e girati in esterni.
Nel 1934 abbandona il genere western per firmare quello che lui stesso definì “il primo film veramente buono”: “The Witching Hour”, dramma d’amore e misticismo. Nel 1935 mise in scena “I lancieri del Bengala” (The Lives of a Bengal Lancer) con un giovane Gary Cooper in un’ambientazione esotica. Questo film sarebbe stato diretto da Ernest B.Schoedsack e Merian C.Cooper, ma fu scelto Hathaway perché aveva già lavorato con Gary Cooper e poi perché l’agente dell’attore aveva stima dei western del regista che girò anni prima ed anche perché l’ambientazione era indiana e il regista aveva vissuto nove mesi in India. Nacque così un’opera di grande successo, un trampolino di lancio per Hathaway, fu considerata dai critici il miglior film di quella stagione. A seguire diresse ancora Cooper in “Sogno di prigioniero” (Peter Ibbetson), storia fantastica e romantica in un ambientazione molto surrealistica.
Nel 1936 il regista diresse “Il sentiero del pino solitario” (The Trailo f the Lonesome Pine), che fu per lui il suo primo film a colori in Technicolor, ma fu anche per la storia del cinema, usando 3 colori e quasi tutto in esterni. Sotto la Paramount realizzò l’ultimo film dal titolo “Il falco del Nord” (Spawn of the North) nel 1938, un’opera drammatica a carattere marinaro. Passò alla 20th Century Fox, dopo aver avuto delle beghe con la Paramount, e il suo primo film fu nel 1940 “Il prigioniero” (Johnny Apollo) un gagster-movie con risolti melodrammatici. Ma la sua capacità migliore era senza dubbio per il genere western come nel 1951 “L’uomo dell’Est” (Rawhide) definito uno dei primi ‘western da camera’, mentre fu considerato uno dei migliori western degli anni Cinquanta “L’uomo che non voleva uccidere” (From Hell to Texas), 1958, come lo fu anche “Il Grinta” (True Grint) del 1969, che fece vincere a John Wayne l’Oscar. Forse la bravura registica di Hathaway trovò anche fortuna nel genere giallo, in quanto riusciva a filmare in maniera documentaristica queste storie come “La casa sulla novantaduesima strada” (The House on 92nd Street) del 1945, definito quest’ultimo ‘giallo documentaristico’. Grande prova delle sue doti narrative fu anche “Chiamate Nord 777” (Call Northside 777), 1948, esempio di film a inchiesta.
Tra i film ‘neri’ del regista bisogna considerare anche “Grattacielo tragico” (The Dark Corner) del 1946, “Il bacio della morte” (Kiss of Death) del 1947, e più tardi “Los Angeles Squadra Criminale” (Hangup) del 1973 tipico del filone giallo poliziesco che imperversava in quegli anni. L’avventura sarà anche questa un genere frequentato da Hathaway scegliendo come tema ‘la ricerca’, fondendo mistero ed esotismo e l’abilità di girarli tutti in esterni come in “L’inferno nel deserto” (Sundown) del 1941, “Tempeste sul Congo” (Whithe Witch Doctor) del 1953, “Il prigioniero della miniera” (Garden of Evil) del 1954, Timbuctù” (Legend of the Lost) del 1957 e “L’ultimo Safari” (The Last Safari) del 1967.
Alcuni film ormai sono diventati dei classici come “Niagara” (id.) del 1953, un giallo diretto splendidamente con una fiammante Marilyn Monroe, “Il principe coraggioso” (Prince Valiant) del 1954 in una coloratissima ambientazione medioevale con James Mason, “Pugni, pupe e pepite” (North to Alaska) del 1960 con John Wayne o i due episodi del celebre film "La conquista del West" (How the West Was Won) del 1962, fino a "I 4 figli di Katie Elder" (The Sons of Katie Elder) del 1965 con ancora una volta Wayne.
Hathaway alla fine aveva un pregio che all’epoca forse nessuno aveva, ad esempio non godeva dei favori dei critici, non aveva una sua filosofia, non era mai in rivolta contro il sistema cinematografico, si limitava a fare il suo lavoro con un contratto e ad ogni soggetto che gli veniva proposto dalla casa di produzione a cui era legato in quel momento, diceva sempre di sì, non dava noie, si cimentava in un’opera, e ci metteva passione e tecnica, gli piaceva innovare a tal punto che spesso non gli importava neppure più del soggetto del film. Non fu mai un autore impegnato e persino quando metteva in scena i nazisti, li rappresentava come ‘cattivi’ e niente più come “Il 13 non risponde” (13 Rue Madeleine) del 1947 o "Rommel la volpe del deserto" (The Desert Fox: The Story of Rommel) del 1951. Gli piacevano i personaggi sinistri, che spesso erano raffigurati nei suoi film gialli o polizieschi, ma erano cattivi che producevano solo violenza, che doveva essere repressa e ridotta a un fine di accettazione per la comunità. Per il regista la violenza nasce dalla vendetta che veniva rappresentata in maniera amorale, alla stregua di semplici fenomeni naturali e inevitabili. Non è suo costume far prevalere nei film la struttura drammatica sul significato etico e le prese di posizione morali non sono da lui concepite come un fattore importante da dover raccontare, la cosa che più gli era a cuore era il narrare una storia nel modo più appassionante e drammatico possibile. Questa sua concezione nasce soprattutto nel western; gli interessava vedere i protagonisti come si muovevano nei paesaggi e cosa ne poteva nascere, tant’è che dichiarò una volta: “Bisogna sapere come descrivere un torrente all’alba, una foresta di notte, delle rocce al crepuscolo e tutti quegli elementi che concorrono a creare un’atmosfera e a dare pregnanza e carattere alla scena”.
Da queste sue parole si può capire bene che tutti i suoi film abbiano questa attenta puntualizzazione di natura scenografica, che si univa molto bene all’ethos individualistico che Hathaway sentiva profondamente e che lo rese un regista gentiluomo del cinema americano.
G.R.
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