Aveva tanta forza di volontà e forse proprio questa qualità le consentì di diventare una star, ma soprattutto sopravvivere con coraggio senza pari al passare del tempo e di mantenere sempre vivo il suo personaggio.
Nella realtà si chiamava Lucille Fay LeSueur, nata a San Antonio nel Texas, la sua data di nascita fu anch’essa falsata, ma si ritiene che sia nata nel 1904. La madre, Anne Bell Johnson, venne abbandonata dal marito, Thomas LeSueur, prima della nascita di Lucille; la donna si risposò con Henry J. Cassin, detto Billy, il quale gestiva un piccolo teatro di provincia a Lawton (Oklahoma). Proprio in questo ambiente che Lucille, la più piccola di tre fratelli e chiamata da tutti Billie, iniziò ad appassionarsi alla danza e maturò il desiderio di diventare ballerina. Questo sogno ebbe esito tragico infatti ebbe un incidente (si tagliò un piede con il vetro di una bottiglia, recidendosi il muscolo e i tendini) che la rese semi-claudicante per tutta la vita. Nel 1917 la famiglia si trasferì a Kansas City, dove Lucille iniziò a cavarsela da sola, frequentando dal 1922 il college femminile di Columbia (Missouri), come studentessa lavoratrice. Con i risparmi accumulati, continuò gli studi di danza e diventò campionessa di charleston, ottenendo un ingaggio da 25 dollari in un locale di Chicago. Un agente teatrale la scritturò e la fece debuttare a Broadway come ballerina di fila nella rivista musicale Innocent Eyes, dove venne notata da un talent-scount che la presentò alla Metro Goldwyn Mayer. Qui venne sottoposta ad alcuni provini e, nel gennaio 1925, messa sotto contratto quinquennale. Lucille si trasferì a Culver City in California e iniziò la sua carriera di attrice cinematografica. Subito però partecipò ad un concorso popolare indetto dalla Metro-Goldwyn-Mayer nel quale la donna assunse il nome di Joan Crawford.
L’attrice che partiva da zero aveva capito che per sfondare bisognava modellare la propria personalità su un immagine di donna che colpisse il pubblico. Aveva studiato con ogni sforzo giorno e notte per apparire davanti ai suoi futuri fans come una vera signora di classe. E così per molti che la vedevano sembrava apparire come una di loro, ovvero una donna che poteva cambiare vita dall’oggi al domani. E sullo schermo appariva proprio così semplice, ma capace di modificare il percorso della sua vita. Intelligentemente Joan aveva capito che le dive dell’epoca erano due: Grata Garbo e Marlene Dietrich, ma chi mai avrebbe potuto diventare una delle due? In questa maniera quasi tutte le donne del tempo videro nella Crawford una loro eroina nella quale immedesimarsi o almeno poter sognare di diventare come lei.
Prima, però, di diventare una star, la Crawford fece ben 19 film, era stata la controfigura di Norma Shearer, aveva partecipato a piccoli apparizioni, ma con grandi attori del tempo come Harry Langdon in “Di corsa dietro un cuore” (Tramp, Tramp, Tramp) nel 1926. Con Lon Chaney in “Lo sconosciuto” (The Unknown) nel 1927, ma che mai avrebbe, da questi lavori, ottenuto un briciolo di fama.
Quando fu la volta di interpretare nel 1928, in “Our dancing Daughters”, una giovane ballerina dell’età del jazz, la Crawford diede il massimo che poteva riuscendoci in pieno tanto che divenne famosissima; la Mgm le fece un contratto di tre anni e divenne la casa di produzione quello che sarebbero state tante altre star: il perfetto prototipo di prodotto creato dalla studio system hollywoodiano. Fu sempre fedele alla casa che le forniva il lavoro e la proteggeva e quando, negli anni a seguire, il boss Louis B.Mayer fu accusato di mettere in ‘schivitù’ le sue attrici, lei ne prese sempre le difese dichiarando di aver ravvisato in Mayer una figura paterna.
La sua carriera era ormai aperta, aveva idee chiare, era ambiziosa ed ogni progetto che gli veniva proposto, lo affrontava con grande professionalità. Nella vita privata iniziò a frequentare Douglas Fraibanks jr. e nonostante i suoi genitori non volessero, riuscì a sposarsi. Ottenne in questo modo un lasciapassare che la faceva introdurre negli ambienti più eleganti e alla moda del tempo, si faceva vedere a Pickfair, dove abitavano Douglas Fairbanks sr. con sua moglie Mary Pickford e ben presto apprese (sebbene Joan provenisse da una famiglia umile e dal passato povero) le regole di questo nuovo mondo fatto di ricchi e sfarzi. Cercò di migliorare la recitazione, andò alla ricerca di un’immagine che la potesse raffigurare come tipo di donna da poter presentare poi in pubblico. Se all’epoca andavano di moda i capelli di Jean Harlow, per quasi tutti gli anni Treanta, la Crawford aveva i capelli biondo platino. Fu, poi, la volta delle labbra rese carnose grazie alla pesante sottolineatura del rossetto, gli occhi truccati splendidamente tali da sembrare molto più grandi, mentre il resto del volto venne truccato come fosse una maschera classica. Riuscì a convincere George Hurrell, il fotografo della casa cinematografica, a farsi fare una serie di ritratti di grande effetto in cui si mostrava anche priva di trucco, per mostrarsi ai produttori che anche senza trucco poteva affrontare generi drammatici. Convinse anche Adrian, il famoso costumista della Mgm, a disegnare e cucire un intero guardaroba solo ed esclusivamente per lei. Si fece fare degli abiti nel quale si mostrava con le spalle nude o in evidenza e con giacche dalla foggia squadrate, influenzando moltissimo la moda americana.
Da questo momento in poi l’attrice divenne una specie di icona, nella quale diede inizio ad una serie di interpretazioni che la videro nel 1930 in “Debito d’odio” (Paid), essere accusato di un omicidio che non ha commesso e battersi per essere scaglionata. In “Ritorno” (Letty Lynton) del 1932 interpretò una donna che veniva accusata di avere avvelenato il suo amante. In “Grand Hotel” (id.), 1932, accanto a Greta Garbo e i due Barrymore nel ruolo della bellissima stenografa, un ruolo che forse fu il migliore degli inizi degli anni Trenta.
Sempre nel 1932, in “Pioggia” (Rain) di Lewis Milestone, ma sotto la United Artsits, commise l’errore di imbattersi nel difficile personaggio di Sadie Thompson, che non recò la fortuna che cercava, poiché non riuscì a immedesimarsi, anche per la poca esperienza che aveva all’inizio della sua carriera, in quel tipo di parte. Dal 1933 in poi ogni personaggio gli venne confezionato su misura, non poteva più sbagliare, sebbene alla fine sembrasse imprigionata in un certo tipo di cliché di donna incline alla drammaticità e alle facili lacrime. Persino gli abiti film dopo film sembravano gli stessi, ma al pubblico non interessava, gli bastava vederla inserita in una storia e farla volare negli incassi.
Nel 1933 girò “Rivalità eroica” (Today We Live), nel 1934 “Incatenata” (Chained), “La donna è mobile” (Forsaking All Others), “Amore in corsa” (Love on the Run) del 1936 e nel 1937 “La sposa vestita di rosa” (The Bride Wore Red) la videro oltre che protagonista femminile indiscussa, anche accanto ai migliori attori del tempo come Clark Gable (con fece lei più di un film), Spencer Tracy, Gary Cooper.
Quando girò “troppo amata” (The Gergeous Hussy) nel 1936, capì anche grazie alle critiche che ricevette che non poteva girare film in costume, poiché il suo volto era ormai legato a vicende del XX secolo e solo in quei contesti poteva aver fortuna.
Mentre tutto sembra scorrere normalmente, nel 1938 qualcosa s’inceppò improvvisamente, i botteghini non garantivano più i successi di sempre e Joan venne definita “un veleno per il botteghino”. I produttori non sapevano più che parte darle, i film del passato sembravano tutti datati e con personaggi ormai fuori moda, così se nel 1935 era possibile prevedere gli incassi per un film, nel 1940 era un incognita dargli una parte. Per una star di Hollywood finire in questa specie di interregno dove non si sa più cosa fare poteva portarla conseguenze assai tragiche, visto che nel decennio passato aveva vissuto come una regina nella più celebre casa di produzione. Per fortuna Joan Crawford non era una donna che si lasciava cadere nella depressione e decise di recitare qualsiasi soggetto anche con paghe molto basse, pur di far tornare i box-office in vetta. Nel 1938 fece “Ossessione del passato” (The Shining Hour) dove interpretava una nevrotica ballerina di un night-club, nel 1939 fu una commessa arrivista che si scontra con la moglie del proprio amante in un cast tutto femminile in “Donne” (Women), poi lavorò in “The Ice Follies of 1939”. In “L’isola del diavolo” (Strange Cargo), 1940, seguiva un gruppo di evasi da un penitenziario, sempre nel 1940 fu la volta “Peccatrici folli” (Susan and Gold), in cui interpretava una donna dell’alta società ossessionata dall’idea di convertire amici e familiari a una nuova religione. Nel 1941 comparve sfregiata nei panni di un criminale che vuole convertirsi in “Volto di donna” (A Woman’s Face). Tutte queste parti misero in luce un’attrice che non si arrendeva davanti a nulla, ma alla Mgm non la vedevano più come la ragazza di un tempo anzi notavano che stesse invecchiando e ciò recava nuovi interrogativi e problemi per poterla gestire serenamente. “Uscendo dalla porta di servizio” fu la dichiarazione della Crawford quando andò via dalla Metro-Goldwyn-Mayer. Così approdò alla Warner Bros che appena la ebbe sotto contratto, decise assurdamente di farla diventare una rivale dell’altra sua star Bette Davis. Solo nel 1945 Joan Crawford ebbe la possibilità di tornare alla ribalta e ottenere il successo che aveva ormai perduto anni prima. Il grande ritorno si chiamava “Il romanzo di Mildred” (Mildred Pierce) del 1945, diretto con maestria da Michael Curtiz. L’attrice non solo recitò divinamente la parte ma ottenne anche l’Oscar come miglior attrice. Era tornata splendente, con il suo fascino di sempre, la parte le calzava a pennello e la sua interpretazione fu realistica mettendoci nel personaggio anche un po’ della sua vita con toni estremamente realistici.
A questo successo seguirono altri film di questo genere come “Perdutamente” (Humoresque) del 1946, nel 1947 “Anime in delirio” (Possessed), “Viale Flamingo” (Flamingo Road) del 1949, “I dannati non piangono” (The Damned Don’t Cry) del 1950. Joan sul set riusciva a far soffrire le protagoniste che interpretava, sapeva come stimolare riflessioni su povertà e ricchezza, su amore e odio e su come fosse importante saper dare l’affetto ai propri figli. E grazie a ciò ogni volta il pubblico americano l’applaudiva e si commuoveva pur sapendo quanto fosse importante per la cultura americana il successo e il denaro. Divenne una star preferita dalle donne, nei suoi film la Crawford riusciva a far nascondere i suoi partner maschili, che non riuscivano a reggerle il confronto. I suoi film erano per donne, le quali andavano sempre numerose negli spettacoli pomeridiani, senza i propri mariti, consorti e fidanzati. Quando ci fu l’introduzione della televisione perse molte di queste sue sostenitrici, ma nel 1952 la Crawford diede ancora una volta saggio della propria forza in “So che mi ucciderai” (Sudden Fear) e di ritorno alla Mgm nel 1953 diede modo di riscattarsi del passato in “La maschera e il cuore” (Torch Song), mostrandosi anche fisicamente perfetta. Nel 1954 fu Vienna in “Johnny Guitar” (id.) diretta da Nicholas Ray che la inserì in un insolito western psicologico dove la solo sua presenza riusciva a dominare l’intero film e ne modificò il genere in futuro.
A seguire pochi altri film degni dota come “Delitto sulla spiaggia” (Female on the Beach) del 1955 in cui veniva minacciata di morte da un’altra donna e “Foglie d’autunno” (Autumn Leaves) del 1956 in cui un giovane psicopatico se ne invaghiva pericolosamente.
Soltanto nel 1962 riuscirà ancora una volta a tornare alla ribalta internazionale grazie al regista Robert Aldrich che la mise in coppia con la sua rivale alla Warner Bette Davis in “Che fine ha fatto Baby Jane?” (What Ever Happened to
Baby Jane?). In seguito non ci saranno mai più successi, e nel 1977 morì a New York lasciando un vuoto incolmabile a livello artistico, ella infatti rappresentava l’ultima vera star femminile di Hollywood, capace pur facendo qualche sbaglio nella sua carriera, di imporsi con stile e qualità senza pari. Se la si paragona con la sua diva antagonista alla Mgm Norma Shearer, la Crawford ancor’oggi giganteggia nelle sue interpretazioni rispetto all’altra attrice, confrontandola con l’altra antagonista alla Warner, Bette Davis sia pur di grandezza anch’essa qualitativa, Joan Crawford mostrava di possedere sullo schermo schiettezza e naturalezza senza pari. Joan vedeva nella macchina da presa uno strumento per realizzare i sogni della sua gioventù, ma al tempo stesso divenendo una delle più complete espressioni dell’età d’oro di Hollywood. Così se molte attrice sono state superiori alla Crawford in qualità recitativa, lei non cantava, né danzava, non era poi così bella e il sex-appeal non era tra i più ammirati, ma aveva due cose che le altre attrici del mondo non possedevano: tanta sicurezza e tanta spregiudicatezza nel diventare e rimanere una star a Hollywood.
G.R.
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