Dall’Australia, terra da cui
proveniva, divenne, a Hollywood, un piccolo grande regista, che ha saputo
mettere in pellicola le storie che scriveva senza eccessi, ma soprattutto
narrandole con stile ed emozione.
Il suo nome completo era John Villiers Farrow, fu cresciuto ed educato in
Inghilterra, si diplomò alla Royal Naval Academy. Qui mentre prestava
servizio, iniziò a scrivere delle storie, racconti, più o meno brevi o
lunghi, e questo lo appassionava, forse avrebbe voluto diventare uno
scrittore di romanzi. Trasferitosi negli anni Venti negli Stati Uniti,
approda ad Hollywood, e, visto la sua esperienza in marina, viene chiamato
come consulente tecnico per le sequenze di mare. Durante queste, per lui,
noiose lavorazioni, continua la sua attività di scrittura, non si arrende, è
il raccontare che gli porta soddisfazione. La tenacia lo premia e nel 1936
viene chiamato dalla Metro-Goldwyn-Mayer a scrivere la sceneggiatura di “La
fuga di Tarzan” di Richard Thorpe, la cui serie era all’epoca molto famosa
in America e aveva creato numerosi appassionati. Nel 1937 decise di passare
subito alla regia, ma un conto era scrivere e un conto era realizzare uno
film e questo lo portò ad una serie di film di poco conto, d’insuccessi
commerciali, che non gli rendevano giustizia per il suo vero lavoro. Nel
1939 viene chiamato alla direzione del film “La tragedia del Silver Queen” (Five
Came Back), ha finalmente con successo di pubblico e di critica, viene
rivalutato e chiamato a dirigere film molto più consistenti anche a livello
di storie. A causa della guerra viene richiamato nella Royal Navy e ci
rimase per due anni, poiché fu ferito gravemente e dovette rientrare in
patria. Nel 1940 tornò a Hollywood e fu la volta di un film di guerra
“L’isola della gloria” (Wake Island), ottenne anche qui grande successo,
anche perché l’esperienza diretta del fronte lo aveva maturato e gli aveva
permesso di vedere cose fosse realmente l’atrocità della guerra. Questa
esperienza sul campo di battaglia lo sviluppò in tutti i sensi e lo fece
interessare a tanti altri argomenti, si convertì al cattolicesimo, scrisse
una biografia su Tommaso Moro, una storia su di un papato, si cimentò in
diversi romanzi e riuscì a scrivere persino un dizionario in
inglese-tahitiano. Si sposò con la bella Maureen O'Sullivan dalla quale ebbe
numerosi figli, tra cui le future attrici Mia e Tisa Farrow.
Quando dirigeva John Farrow, spesso aveva l’abitudine di mettere le mani
alla sceneggiatura, ma quasi mai di apparire nei titoli di testa. Nel 1943
venne chiamato alla Paramount per occupare un posto di prestigio come
regista. Fino al 1949 John si sentì ben considerato, gli furono affidati
progetti di ogni tipo dal noir, ai melodrammi tutti al femminile, al western
psicologico, fino all’avventura. In ogni film c’è una sua tecnica, un
tentare anche di esplorare e ricercare nuove forme visive per stupire il
pubblico. Di notevole interesse fu ad esempio nel 1946 “I forzati del mare”
(Two Years Before the Mast) con una serie di piani sequenze molto originali,
oltre ad avere una storia ricca di psicologia e umanità dei protagonisti. Un
noir che gli portò davvero molta fortuna, fu “Il tempo si è fermato” (The
Big Clock), 1948, un successo di critica e pubblico, ma che gli permise di
affrontare questo genere anche in seguito con “La notte ha mille occhi”
(Night Has a Thousand Eyes), 1948 storia di una preveggenza. Altri film di
genere vario furono, sempre nel 1948, “La sconfitta di Satana” con Ray
Milland nei panni di Mefistofele, dello stesso anno “Codice d’onore” (Beyond
Glory), dramma da corte marziale all’interno dell’accademia di West Point,
un altro dramma per la Rko “Una rosa bianca per Giulia” (Where Danger Lives),
1950, l’avventura nel 1953 in “I deportati di Botany Bay” (Botany Bay), il
western psicologico dello stesso anno con John Wayne, “Hondo” (id.) alla cui
regia partecipò anche John Ford, il film storico “Il grande capitano” (John
Paul Jones), 1959. In molti di questi film decise di chiamare sempre al suo
fianco l’attore Alan Ladd, uomo semplice, onesto, dal volto pulito, che
conferiva alle sue storie ancor più caratteristiche naturali e verosimili
alla realtà del pubblico.
Nel 1956 gli venne conferito l’Oscar alla miglior sceneggiatura per “Il giro
del mondo in 80 giorni” (Around the World in Eighty Days), un riconoscimento
che gli fu dato proprio per valorizzare l’uomo scrittore, un personaggio
così singolare nel panorama artistico hollywoodiano, che cercò di creare
storie e soprattutto film nei quali emergessero i protagonisti con i loro
caratteri, i valori e gli eroismi con cui John Farrow si era sempre
confrontato nei suoi romanzi.
G.R.
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