Quando si parla di Garfield, si ricorda sempre la gioventù arrabbiata di
Hollywood, ma lui era ed è colui che ha incarnato “il sogno americano”, partendo
dal ghetto fino ad arrivare ad essere una delle più celebri star di Hollywood.
Il suo nome originale era Julius Garfinkle, ma gli amici lo chiamavano Julie,
nato nel ghetto di New York nel 1913, era di origine povere, i suoi genitori
erano ebrei emigrati dalla Russia. La madre morì quando John aveva appena sette
anni e tutto faceva presagire che avrebbe avuto un futuro da delinquente.
Fortunatamente per lui incontrò in un riformatorio un direttore che decise di
fargli cambiare strada e visto che il giovane John ne aveva energie da spendere
decise di iniziarlo alla recitazione. Da ragazzo con un amico intraprese un
viaggio che lo portò a conoscere vari luoghi ed aspetti degli Stati Uniti,
lavorò e si impiegò in qualsiasi tipo di lavoro gli venisse offerto, scoprendo
che per vivere serviva a tutti i costi un buon lavoro.
Così nel 1934 ritornò a New York e si unì al Group Theatre con il quale fece
numerosi spettacoli, finchè nel 1937 ebbe una forte delusione: fu messo in scena
“Golden Boy” di Clifford Odets e John ebbe una parte secondaria, benché gli fu
promessa la parte di protagonista. Così decise di smettere di recitare per il
teatro e di passare al cinema, firmando un contratto settennale con la Warner
Bros, che lo bramava già da tempo, e John si fece mettere una clausola che gli
permetteva una volta l’anno di tornare a recitare in teatro.
Ad appena 24 anni, approdò a Hollywood, con tante buone speranze, voglia di fare
e cercare di arrivare al successo prima possibile. In un anno riuscì a diventare
protagonista, dopo aver recitato ottimamente la parte di Mickey Borden nel film
di Michael Curtiz “Quattro figlie” (Four Daughters) del 1938. Questa storia lo
vedeva nei panni di un giovane, simile a lui nella realtà: si capiva la sua
sofferenza per un mondo amaro e tormentato, che lo sfidava in continuazione e
lui era pronto a sfidarlo a sua volta. Alle donne piacque il suo stile di
recitazione, ma anche il suo modo di atteggiarsi, di muoversi sullo schermo fu
determinante per il suo futuro.
Divenne all’epoca un mito, infatti nel suo atteggiamento e nel suo stile di
recitazione da teenager, che mai prima di allora si era manifestato sul grande
schermo, si incrociavano modi di fare bruschi, da duro, ribelle e violento
contrastanti uno stile tecnico teatrale classico, onesto, e vigoroso. Ora era
felice, amava il lavoro cinematografico che svolgeva, si era anche sposato, ma
naturalmente la sua infanzia ritornava a galla, si sentiva dentro di sé il
travaglio di aver perso la madre, di aver vissuto gli anni più belli della
giovinezza nella povertà, nel riformatorio e il periodo nel quale recitò al
Group Theatre lo aveva spinto ad avere delle simpatie di sinistra. Un’ampia
varietà di personaggi lo attendeva nel corso della sua carriera, fu un pugile
braccato dalla polizia in “Hanno fatto di me un criminale” (They Made Me a
Criminal) nel 1939, il ragazzo uscito da un riformatorio in “Dust Be My Destiny”
sempre nel 1939. Nel 1941 fu un ricattatore senza scrupoli in “Fuori dalla
nebbia” (Out of the Fog), marinaio cieco in “Destinazione Tokyo” (Destination
Tokyo) del 1943, nel 1946 interpretò il vagabondo assassino in “Il postino suona
sempre due volte” (The Postman Always Rings Twice). Ufficiale ebreo nel
controverso “Barriera invisibile” (Gentleman’s Agreement), 1947, in questo
stesso anno fondò una sua casa di produzione che gli permise di realizzare un
bellissimo film sul mondo della boxe e della corruzione in “Anima e corpo” (Body
and Soul). Nel 1949 un rivoluzionario cubano in “Stanotte sorgerà il sole” (We
Were Strangers) e nel 1959 “Sua donna” (Under My Skin) nei panni di un
personaggio hemingwayano.
La fama di ribelle lo seguiva sempre, non riusciva a scrollarsi di dosso questa
etichetta fino a quando incappò nella commissione per le indagini antiamericane,
finendo sulla lista nera creata dal senatore McCarty, il quale lo riteneva un
personaggio pericoloso perché troppo filo progressista e ‘testimone reticente’,
facendo di John Garfield ancor di più un’icona dell’immagine del ribelle
americano. L’attore fu esiliato da Hollywood, tornò alla sua prima passione il
teatro, ma la sua vita fu ormai segnata dalla sofferenza e all’età di appena 39
anni fu colpito da un attacco cardiaco e morì, dopo appena poche settimane nelle
quali aveva finalmente portato con successo personale, come protagonista, a
teatro il personaggio di “Golden Boy”.
Se fosse vissuto di più Hollywood lo avrebbe inserito di dovere tra i calibri di
Spencer Tracy e Marlon Brando e proprio il suo modo di fare appassionante,
collerico, insolente fu determinante per attori come lo stesso Brando e James
Dean e per quel cinema degli anni Cinquanta, ma John Garfield resta non solo
quel simbolo, ma soprattutto un uomo ricco di recitazione e di appassionata
umanità.
G.R.
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