"L'Oscar e io abbiamo qualcosa in comune - disse quella notte di aprile del 1979
alla consegna della statuetta. - L'Oscar apparve nel 1928. Proprio come me. Il
tempo ci ha reso malconci, ma siamo ancora qui e contiamo di rimanere in
circolazione per un bel po'!".
Aveva ragione, sebbene avesse ancora pochi mesi di vita, colpito dal cancro,
quest'attore che l'America non ha mai dimenticato è entrato nella leggenda come
un monumento nazionale, un simbolo degli Stati Uniti per forza, coraggio,
virilità, patriottismo e integrità negli anni del dopoguerra, che difficilmente
potrà essere cancellato.
Nacque col nome di Marion Robert Morrison, poi gli venne cambiato in Marion
Mitchell Morrison alla nascita del fratello Robert; in seguito affermò spesso
che il suo secondo nome era Michael. La famiglia era di religione presbiteriana;
il padre, farmacista, Clyde Leonard Morrison era di origini scozzesi e figlio di
un veterano della guerra civile; la madre Mary Alberta Brown era di origini
irlandesi.
Sin da piccolo, per la sua corporatura robusta, gli fu dato il soprannome di
"Big Duke", amava camminare ovunque con il suo fedele cane un Airedale Terrier
che prese anche lui il soprannome di "Little Duke". Un titolo che piaceva molto
a Marion e che gli rimase poi per tutta la vita. Nel 1925 ottenne una borsa di
studio per il football l'università della California del Sud, grazie sempre alla
sua stazza fisica, e divenne un abile giocatore di footbool americano; allo
stesso tempo cominciò a lavorare presso gli studi cinematografici della Fox in
qualità di attrezzista e divenne amico del mitico attore Tom Mix.
Proprio mentre era su di un set in lavorazione, che fu notato da un giovane John
Ford il quale vide nella corporatura di quel ragazzone il personaggio dei suoi
futuri film. Così lo impiegò nella parte di un guardiano di oche in "La canzone
della mamma" (Mother Machree) nel 1927. Apparve nel 1928 in la "La casa del
boia" (Hangman's House) in veste di un contadino irlandese e nel 1929 in "Words
and Misc" comparì nei titoli di testa col nome di Duke Morrison.
La sua prima parte importante fu nel 1930 in "il grande sentiero" (The Big Trail)
e in quell'occasione il regista Raoul Walsh gli diede il nome d'arte John Wayne.
Questo film cambiò il nome dell'attore, ma rischiò di fargli cambiare anche
mestiere, infatti fu un fiasco commerciale e la buona reputazione che si era
costruita alla Fox, andò perduta e fu così relegato ai western di serie B girati
dalla Columbia, dalla Mascot e dalla Monogram per poi finire sotto contratto
della Republic.
Bisognerà aspettare una serie di film nell'arco degli anni Trenta prima di
vederlo in quei ruoli che lo resero immortale nella cinematografia americana.
Nel 1939 il regista John Ford si accorse che in quell'uomo ruvido e muscoloso si
nascose una persona capace di straordinaria cavalleria e cortesia, gli propose
il ruolo di Ringo in "Ombre Rosse" (Stagecoach), e qui iniziò la sua carriera,
fu il film che lo rende al pubblico famoso e soprattutto apprezzato interprete.
Nel 1940 in "La taverna dei sette peccati" (Seven Sinners) con accanto a Marlene
Dietrich, donna fatale, interpretò il capitano di marina un film che ebbe
all'epoca successo. Finiti gli anni Trenta, scoppiò la seconda guerra mondiale,
Wayne ne diventò il simbolo che combatteva la giusta causa e interpretò una
serie di film di guerra come "I falchi di Rangoon" (Flying Tigers), 1942, "I
conquistatori dei sette mari" (The Fighting Seabees), 1944, tutti di propaganda
bellica, elemento essenziale per gli Stati uniti che all'epoca erano sul punto
di sganciare la bomba atomica su Hiroshima. Nel 1945 gli viene affidata una
parte in "Gli eroi del Pacifico" (Back to Bataan), sempre lo stesso anno gira "I
Sacrificati" (They Were Expendable), sempre il genere di guerra lo vede come
protagonista in "Iwo Jima, deserto di fuoco" (The Sands of Iwo Jima) del 1949,
ma orami la guerra era finita e così decise di affrontare nuovi temi e nuovi
personaggi.
Nel 1948 torna al western con il regista Howard Hawks in "Fiume Rosso" (Red
River), accanto a lui un giovane Motgomery Clift, che gli tiene testa con grande
abilità recitativa, l'opera ebbe un grandissimo successo anche per i temi che
trattava. Così nello stesso anno per John Ford interpreta un'altra bella storia
in "In nome di Dio - Il Texano" (Three Godfathers), un film che ebbe un buon
successo di critica e di pubblico. Sempre nel 1948 inizia una collaborazione con
John Ford, creando 'la trilogia della cavalleria' con "Il massacro di Fort
Apache" (Fort Apache), "I cavalieri del Nord-Ovest" (She Wore a Yellow Ribbon),
1949 e nel 1950 "Rio Bravo" (Rio Grande) in cui lo si vide interpretare i ruoli
di comandanti impegnati in guerra per la libertà degli Usa dagli indiani, dai
nordisti o suddisti, sempre con animo duro, deciso, spesso anche tirannico, ma
con quel cuore da Americano patriottico che usa il coraggio e la compassione per
ottenere la vittoria sperata.
Negli anni Cinquanta, John Wayne divenne un'icona, forse l'ultimo eroe
americano, in politica fu un repubblicano attento ai problemi della sua nazione,
divenne anche presidente della Motion Picture Alliance for the Preservation of
America Ideals ovvero l'associazione per la difesa degli ideali americani. In
quel periodo c'era la famosa "caccia alla streghe" cercare di espellere i
comunisti da Hollywood, così Wayne decise di realizzare un film "Marijuana" (Big
Jim McLain) nel 1952 nel quale lo si vedeva vestire i panni di un investigatore
della Commissione d'indagine sulle attività antiamericane (HUAC) che dava una
caccia spietata ai simpatizzanti comunisti.
In questo decennio lo si vedrà passare da un film western come il crepuscolare "Hondo"
del 1953 a uno di guerra come "Lo squalo tonante" (Operation Pacific) del 1951,
recitando ruoli sempre da duro, capace di portare avanti storie create sulla sua
persona, sul suo coraggio dentro e fuori dal cinema. Il tema della guerra tornò
sempre attuale, ottenne successi con i film come "L'isola nel cielo" (Island in
the Sky), 1953, "L'amante dei cinque mari" (The sea Chase), "Oceano rosso" (Blood
Alley) entrambi del 1955, o film in costume come "Il conquistatore" (The
conqueror).
Ma il western il suo genere, la chiave di lettura della sua carriera, l'icona
che lo identifica nell'uomo del west, così dopo "Hondo" e il grande successo che
lo vide come protagonista in "Un uomo tranquillo" (The Quiet Man) del 1952 di
John Ford, lo stesso regista gli darà l'opportunità nel 1956 di realizzare il
suo miglior film di sempre "Sentieri selvaggi" (The Searchers). Si dice che se
John Wayne non avesse incontrato sul suo cammino John Ford, Howard Hawks e tutti
i registi della Republic sarebbe divenuto un grande attore da film noir, e
infatti in "Sentieri selvaggi" ci si accorge di questo vedendolo in una trama sì
western, ma dai toni tipicamente noir, combattuto dentro di sé da violenti
conflitti psicologici, alla ricerca di una ragazza rapita dagli indiani e fatta
diventare una di loro. Un'interpretazione memorabile, un affascinante
personaggio con un insolito volto da tiranno, ma con una maschera da eroe che
combatte perché ha l'obbligo morale di difendere la bandiera ad ogni costo.
Altri due film, con questo tipo di caratteristica, si troveranno ancora sotto la
direzione di John Ford in "Soldati a cavallo" (The Horse Soldiers) del 1959 e
"L'uomo che uccise Liberty Valance), 1962, il primo nei panni del solitario
capitano di reggimento, il secondo con accanto a James Strewart, in una storia
molto bella e dal risvolto inaspettato. Misero in luce che sia il regista che
l'attore condivisero la consapevolezza che il sogno americano si era ormai
trasformato, forse in un incubo e che gli anni Sessanta ne segnarono un tramonto
inevitabile.
Forse un ultimo grande western sarà quello diretto da Howard Hawks "Un dollaro
d'onore" (Rio Bravo), 1959, nel quale l'attore dimostrerà carattere e forza
fisica. Infatti già nel 1963 Ford lo richiama sul set non per un western, ma per
una commedia ne "I tre della croce del Sud" (Donovan's Reef), nel quale si
evvidenzia per il modo di recitare e per l'ambientazione diversa, che la storia
del West è ormai al tramonto cinematografico.
Gli anni Sessanta lo videro protagonista, oltre che diretto da John Ford, anche
lui stesso regista e attore di un film storico di carattere prettamente
americano, "La battaglia di Alamo" (The Alamo), nei panni di David Crockett alla
difesa dell'indipendenza del Texas. Il Vietnam lo segno in particolar modo sul
piano politico e per questo motivo diresse e interpretò "Berretti verdi" (The
Green Berets) 1968 nel quale si manifestava la sua convinzione che la guerra
fatta in Vietnam era giusta e Wayne stesso interpretava un ufficiale che sgomina
i vietcong. Grandi furono le critiche che gli riservarono stampa e parte di
pubblico, ma il film era fatto bene specie nelle scene di azione e di guerra e
questo bastava anche a far dimenticare la sua fede repubblicana, soprattutto
l'essere un forte anticomunista e un sostenitore di presidenti come Eisenhower,
Goldwater e di Nixon.
Il decennio dei cambiamenti, non portò quei frutti che tutti speravano anzi si
decise che era meglio tornare ai vecchi temi e rispolverare nuovamente la
polvere del West, ma gli anni Settanta, avevano ormai trasformato il ceto
sociale e quel gusto di raccontare le storie della Frontiera era ormai finito.
Così nel 1969 Wayne interpreta "Il grinta" (True Grit), western anomalo con un
mito ormai stanco, ma tanta fu la volontà che lo portò a conseguire il suo primo
Oscar come miglior attore. Un riconoscimento che gli mancava e che lo riportava
in cima alle nuove star che stavano emergendo in quel periodo. Inizia così in
questo breve decennio della sua vita una serie di film western, differenti dagli
anni Quaranta e Cinquanta, che lo videro protagonista in "Chisum" e "Rio Lobo"
del 1970, "Il Grande Jake" (Big Jake), 1971, "I Cowboys" (The Cowboys), 1972,
Quel maledetto colpo al Rio Grande Express (The Train Robbers) e "La stella di
latta" (Cahill-United States Marshall) del 1973, "Torna El Grinta" (Rooster
Cogburn), 1975 e infine "Il pistolero" (The Shootist) del 1976. Proprio
quest'opera sarà l'ultima sua fatica prima di morire e per la prima volta sullo
schermo succederà quello che non è mai successo in tutti i film realizzati,
verrà ucciso come a dire che quella sarà anche la sua ultima fatica.
Come succede alle grandi star del cinema, John Wayne è divenuto un monumento
indistruttibile, essendo a tutt'oggi sopravvissuto a circa 200 film. Anche se si
cerca di rivelare il lati più oscuri della sua figura ciò pare riesca solo a
renderlo più imponente come la sua conversione pochi istanti prima di morire o
la sua malattia, che riuscì a dominare molto a lungo. "Spero che tu muoia" grida
furioso Martin Pawley (Jeffrey Hunter) a Etahn in "Sentieri selvaggi". "Dovrai
aspettare un bel po'!" sogghigna Ethan.
Come Ethan, John Wayne sopravvive e resiste nel mondo dei miti e nella fantasia
del pubblico (chi non lo avrebbe voluto come padre!): un discusso eroe
americano, ma certamente una straordinaria presenza cinematografica.
G.R.
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