E’ uno di quei registi che all’inizio degli anni Trenta riuscirono a farsi un
nome portando sullo schermo esseri mostruosi, che mai prima di quel tempo si
erano visti e che mai gli spettatori di tutto il mondo dimenticarono.
Whale nacque in Gran Bretagna a Dudley nel 1893, nei pressi di un centro
minerario, era il sesto di sette figli, il padre era un operaio metallurgico,
mentre la madre faceva l’infermiera. La condizione sociale era bassa e tutti i
fratelli intrapresero la strada della miniera, ma lui fu l’unico che invece
decise di prendere altre strade. Dapprima disegnatore umoristico, poi
compositore di canzonette, con i soldi guadagnati frequentò la scuola “Dudley
School of Arts and Crafts”. Nel 1915 allo scoppio della prima guerra mondiale
decise di arruolarsi nell’esercito diventando tenente, ma nel 1917 fu fato
prigioniero dai nemici tedeschi e qui per ironia della sorte nel campo di
prigionia iniziò a organizzare piccoli spettacoli teatrali divenendo il
direttore. Finita la guerra e liberato continuò la sua attività ma questa volta
recitando lui stesso nel teatro fino al 1930.
Mi in scena a Londra una commedia antimilitarista “Journey’s End” che tanto
successo da portarlo a Broadway e ottenere anche lì un acclamato interesse di
pubblico. Così Hollywood lo chiamò a sé e lo fece dirigere con esordio dietro la
macchina da presa proprio con questa suo piéce teatrale. In seguito curò i
dialoghi di “Angeli dell’inferno” (Hell’s Angels) del 1930 del regista Howard
Hughes e passato alla Universal gli vengono affidati i dialoghi di “La donna che
non si deve amare” (Waterloo Bridge) con Bette Davis e Mae Clark. Ma è qui che
scopre il successo e diventa uno di quegli autori horror famosi nella storia del
cinema, dirigendo il romanzo di Mary Shelley “Frankenstein” divenendo nel 1931
il film più famoso dedicato a questo mostro, il più imitato e il più visto in
assoluto. Interpretato da Boris Karloff, naturalmente tutto il successo viene
dato alla maschera del mostro realizzata dal maestro truccatore Jack Pierce.
Un’opera che Whale seppe portare con maestria sullo schermo, mescolamento
abilmente momenti di forte terrore per l’epoca a momenti di umorismo per così
dire ‘britannico’ che prendevano spunto dai costumi del tempo.
Il successivo film che ebbe un altro successo fu “The Old dark House”, 1932,
commedia black, un gioco al massacro, nel quale il regista che proveniva dal
anni di esperienza teatrale riuscì a fondere umorismo nero, commedia di
carattere e pungente ironia che al pubblico piaceva tanto. Nel 1933 ritornò alla
ribalta riuscendo a portare al cinema un film difficilissimo per trucchi ed
effetti speciali “L’uomo invisibile” (The Invisible Man). Il regista fa
riflettere il pubblico così in quest’opera mostra l’uomo invisibile padrone del
mondo nessuno lo vede più e lui è invincibile, ma deve però stare attento a non
sporcarsi quando mangia a girare nudo anche con il freddo rischiando qualche
malanno!
Nel 1935 sulla scia del successo di Frankenstein, alla Universal non potevano
che pensare ad un ipotetico seguito e così gli diedero in affidamento un altro
horror “La moglie di Frankenstein” (The Bride of Frankenstein) e accanto a
Karloff su scelta come moglie Elsa Lanchester. Il film ebbe altrettanto
successo, lo si ricorda come il primo e ci si diverte un po’ di più, come nella
scena in cui la moglie nel vedere Frankenstein emette un sibilo di terrore come
a spaventarsi dell’orrore per il marito.
È così che Whale intende i suoi film e in particolare questo genere che negli
anni Trenta andava molto di moda, tanto che gli altri film del regista non
ebbero più né quel carisma, né quella sottile ironia che lo avevano
caratterizzato in quegli anni. Piccoli film commerciali che non portavano, però,
né benefici a lui nella alla casa di produzione come “The Road Back”, 1937,
rievocazioni autobiografiche sulla prima guerra mondiale, fece un musical “La
canzone di Magnolia” (Show Boat), 1936, decide di portare sullo schermo il
romanzo di Alexandre Dumas “La maschera di ferro” (The Man in the Iron Mask) nel
1939, ma non trova più la strada del successo. Negli anni Quaranta è il primo a
dichiarare la sua omosessualità a Hollywood, scatenando un coro di critiche e
facendolo dispiacere così tanto che decise di non tornare più sul set. Colpito
da un ictus che lo aveva debilitato, nel 1957 muore, chi dice accidentalmente
chi suicida nella piscina della sua villa, ma i particolari emergeranno anni
dopo, pare vi abbiano trovato un biglietto ai bordi della piscina con questo
testo: “Il futuro è solo vecchiaia e dolore…devo avere pace e questo è l’unico
modo”.
La sua opera fu rinnovatrice del genere fantastico cinematografico americano, la
sua ironia e il suo modo di compiangere quei particolari personaggi diventano
oggi un simbolo dell’artista che aveva una rara sensibilità: sapeva ridere ancor
prima del pubblico.
G.R.
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