Di Mann si sa poco o niente in Europa, ma se si analizza la sua carriera e la
sua vita dal punto di vista americano, questo regista risulta essere uno dei
migliori, se non uno dei più grandi.
Nato il 30 giugno 1906 a San Diego in California, col nome di Emil Anton
Bundesmann (in seguito Anton Mann), ben presto la sua famiglia si trasferisce a
New York e qui frequenta le scuole pubbliche. Già a 10 anni si appassiona al
teatro e allestisce alcuni spettacoli presso la sua scuola. Subito dopo la morte
del padre nel 1923, dovette abbandonare gli studi, così decise di lavorare per
il teatro come tuttofare, si formò nell'ambiente dello spettacolo, iniziando a
frequentare Broadway e a farsi le ossa. Qui il teatro gli insegna l'importanza
dello sviluppo narrativo, l'atmosfera, i conflitti fra gli esseri umani, a
calcolare gli spazi, ma non solo anche a gestire gli attori. Lavorò per registi
del calibro di Rouben Mamoulian, David Belasko e Chester Erskine. Non si lasciò
scappare nulla, li guardava come gestivano gli attori, come modificavano la
trama se questa aveva degli intoppi e soprattutto come gestivano lo spazio
scenico. Nello sviluppare questo lavoro, conosce un giovanissimo James Steward,
ma anche viene notato dal grande produttore David O.Selznick, che come dirà lo
stesso Mann "A forza di mettere in scena testi teatrali, venni notato da David
Selznick e fu così che debuttai nell'industria cinematografica". Così dopo 14
anni di teatro fu impiegato inizialmente come talent-scout (direzione dei
provini), partecipando alla pre-produzione di parecchi film. Tra i quali vanno
menzionati: "Quattro in Paradiso" (The Young in Heart) di Richard Wallace, "Le
avventure di Ton Sawyer" (Adventures of Tom Sawyer) di Norman Taurog, "Via col
vento" (Gone with the Wind) di Victor Fleming, "Intermezzo" (Intermezzo, A Love
Story) e per Alfred Hitchcock "Rebecca, la prima moglie" (Rebecca). Questa
felice esperienza gli permise di capire la moviola quando montava i provini e
faceva uso ed esperienza anche del supporto tecnico di produzione.
Nel 1939 è chiamato come assistente alla regia dalla Paramount per aiutare il
giovane regista di talento Preston Sturges che doveva dirigere "I dimenticati"
(The Sullivan's Travels) del 1941. Un'altra esperienza unica, fu quando Sturges
gli permise persino di dirigere alcune scene e di poter assistere al montaggio
del film, cosa che a Mann rimase impressa e che sarà poi di fondamentale
importanza per la sua carriera.
Nel 1942 ha la grande opportunità di dirigere il suo primo film "Dr.Broadway",
grazie anche all'aiuto del suo amico di teatro McDonald Carey che lo segnalò al
produttore Sol Siegel, il quale gli affidò l'incarico. Questo film, che per caso
fu ambientato proprio a Brodway, non ebbe successo, ma fu per Anthony Mann un
trampolino di lancio per comprendere le difficoltà di un regista alle prese con
i tempi di lavorazione, la gestione degli attori e la trama, che fu scritta da
Borden Chase, sceneggiatura dei suoi futuri film western.
In breve tempo dal teatro passò al cinema, la Republic e la RKO gli diedero la
possibilità di potersi esprimere liberamente e Mann ne approfittò dirigendo dei
"quickies", film corti della durata di poco superiore ad un ora, per lo più
commediole o musicals banali, semplici, ma utili anch'essi a comprendere
l'universo cinematografico.
Le sue prime esperienze sui set furono devastanti, non aveva il tempo (circa
10-12 giorni) che era concesso agli altri registi per girare un film in circa 2
mesi, nessun aiuto sul piano delle scenografico, fotografico e artistico, solo
una grande corsa per portare a termine l'opera ordinata dai produttori. Così
Mann approfondisce i ritmi del cinema e solo nel 1947 dirigendo "Morirai a
mezzanotte (Disperate) iniziò la sua vera carriera di regista. Gli anni Quaranta
lo portarono dal musical a un genere che era in voga in quel momento il thriller
o noir e Mann ne divenne un vero maestro nel saper raccontare questo tipo di
storie.
In "Morirai a Mezzanotte" riuscì a creare un'atmosfera nera con dei virtuosismi
nelle immagini che raramente si erano visti al cinema. Famosa è la sequenza
della lotta tra i protagonisti in cui la lampadina che illumina la scena
ondeggia mostrando il buio e la luce ad intervalli, con i primi piani degli
attori sudati e dagli sguardi sinistri.
Il successivo film fu sempre nel 1947 "T-Man contro i fuorilegge" (T-Men) un
altro capolavoro noir, girato in maniera documentaristica, nel quale due agenti
del Ministero del Tesoro devono smantellare una fitta rete di falsari. Anche qui
con l'utilizzo della fotografia in bianco e nero realizzata dal maestro John
Alton riuscì a infondere atmosfere urbane cupe e pregne di una violenza che mai
si erano viste prima. Luce ed ombra sembrano divenire il suo modello di
realizzazione, aiutandosi molto con il montaggio a volte vorticoso e le
inquadrature fatte di primissimi piani, il tutto per far crescere l'azione, il
pericolo, la violenza e la tensione.
Se si pensa che in quel periodo la censura del Codice Hays era molto forte, Il
regista riuscì, attraverso un attento modo di scrivere la sceneggiatura e quindi
la storia, di illudere la censura e portare sullo schermo una visione molto
forte della vita quotidiana e del mondo che si sconvolge di fronte al crimine.
Mann inizia proprio con T-Men contro i fuorilegge la sua visione degli eroi,
uomini solitari, che lottano per incarnare il bene, e alla fine rischiano di
incarnare ciò che odiano come le due scene del film in cui uno degli agenti pur
di non rivelare la sua identità nega di conoscere la donna che è nella realtà
sua moglie o di assistere impotente all'uccisione del suo collega.
Uno dei suoi ultimi noir è "Schiavo della furia" (Raw Deal), un film basato sul
tema della vendetta, girato in tono barocco e lugubre, che gli permetterà di
affrontare un nuovo genere, il western, di cui Mann ne diventerà uno
specialista, trovando nell'attore James Stewart il personaggio manniano per
eccellenza.
Nel 1949 Mann passa dalla Eagle-Lion alla Metro-Goldwyn-Mayer per volere del
produttore Dore Schary, che aveva un gran fiuto per i piccoli film di serie B, e
assunse oltre il regista, anche il direttore della fotografia John Alton e lo
sceneggiatore John C.Higgins. Questa mossa, che univa i tre per l'ultima volta,
servì per dare la possibilità allo stesso Mann di fare ciò che faceva nella
Eagle Lion e così diresse "Mercanti di uomini" (Border Incident), un remake di "T-Men",
una storia cupa che lo allontanava per la prima volta dal noir e lo avvicinava
al western. Il film che parlava di immigrazione clandestina dei messicani è
racchiuso in una chiave drammatica, dove la descrizione dell'ambiente aperto e
dello spazio del west era molto simile in chiave descrittiva ai paesaggi urbani
dei precedenti noir.
"La via della morte" (Side Street) è ancora un noir nel 1949 ma per la Metro,
stile documentario, con Farley Granger nei panni di un reduce americano con una
moglie (Cathy O'Donnel) incinta, fa il postino precario e per sbarcare il
lunario decide di rapinare un facoltoso avvocato. Il tutto è realizzato negli
ambienti urbani dove la città diventa una giungla d'asfalto e le riprese fatte
per strada ne aumentano il valore e il significato dell'opera.
E' il 1950 l'anno in cui il regista passa dal noir al western, un genere che
negli anni Quaranta aveva perso valore, solo ora grazie ad Anthony Mann
ridecolla con storie raccontate in maniera violenta, drammatica, rappresentando
tutto in una visione di immagini ampie dove il vecchio West ha una natura
selvaggia e gli uomini che vi abitano debbono per forza adattarsi e combattere
in questo mondo crudele.
In quest'anno dirige il suo primo vero western: "Il Passo del diavolo" (Devil's
Doorway) dedicandolo agli indiani dimostrando attraverso la storia che leggi
americane sono state fatte per reprimere e sfruttare le popolazioni indiane e
favorire il commercio dei bianchi. Sempre nel 1950 diresse " Le furie" (The
Furies) una storia, come quella del precedente film, che innova il genere, qui
Barbara Stanwyck deve dimostrare di essere una degna figlia del padre, un duro
ranchero, facendo nascere il complesso d'Edipo, ma già dal titolo si capisce che
Mann ha intenzione di rendere il western una tragedia greca, nella quale i
conflitti familiari arrivano a sfociare in temi quasi shakespeariani (tanto da
avere l'idea mai realizzata di dirigere "Re Lear" con protagonista John Wayne).
A seguire girò per la Universal "Winchester '73" primo film con James Stewart
come protagonista, bellissimo affresco western, condotto con grande epica e con
una storia affascinante incentrata tutta sul mitico fucile Winchestern al quale
ruotano personaggi come soldati, indiani, fratelli nemici, trafficanti, sceriffi
e coloni. Fu un grande successo commerciale e da qui iniziò il sodalizio tra lui
e James Stewart.
Nasce nel regista l'idea di "eroe manniano" (Stewart ne sarà la
personificazione), una figura solitaria, determinata grazie al carattere spesso
violento, ma con un anima di riposo e di pace. Così nel 1952, dopo aver diretto
alcune scene del kolossal "Quo Vadis" (tra cui l'incendio di Roma), mise in
scena "Là dove scende il fiume" (Bend of the River), con James Stewart, nella
parte di un uomo che si redime e da avventuriero diventa la guida di una
carovana di pionieri. Grande prova visiva, primo film in Technicolor, nel quale
mostrò un territorio inaccessibile selvaggio e pieno di insidie. Ormai era
conteso dai produttori, che avrebbero voluto a tutti i costi, ma la Mgm gli
offrì la possibilità di girare "Lo sperone nudo" (Naked Spure), sempre con
Stewart come protagonista nella parte di Howard Kemp, divenuto cacciatore di
taglie per nascondere e fuggire da un passato troppo vigliacco e a tratti anche
umano. Anche qui la Natura contrasta con il carattere del protagonista, i
pericoli si susseguono e gli avversari sono numerosi.
Di fronte al clamoroso successo Mann non può più decidere ed è costretto a fare
film su commissione per la Universal e la Paramount; nel 1953 diresse "La baia
del tuono" (Thunder Bay) per il produttore Aaron Rosemberg, un film d'avventura
basato sull'estrazione del petrolio dal mare, sempre con Stewart come
protagonista, originale nella storia ma minore se paragonato ai precedenti film
western. A seguire si dedicò alla biografia del celebre musicista Glenn Miller
in "La storia di Glenn Miller" (The story of Glenn Miller), 1953, sempre per la
Universal con il medesimo attore. Nel 1954 torna al western e dirige "Terra
lontana" (The Far Country), un film notevole come storia (la corsa all'oro) e
come direzione degli attori, ma l'anno successivo fu costretto a dirigere per
volere delle autorità militari "Aquile nell'infinito" (Strategic Air Command),
opera banale che ebbe poco successo. Nel 1955 tornò al western di prima regola
con "L'uomo di Laramie" (The Man from Laramie), una storia basata sul complesso
di Edipo all'interno di una famiglia, con il quale segnò l'ultima collaborazione
in cinque anni tra Mann e James Stewart, una coppia formidabile che seppe
mettere in scena opere ormai immortali.
Seguirono altre opere di minor pregio "L'ultima Frontiera" (The Last Frontier),
nel 1956 Mann tornò al musical con Mario Lanza come protagonista in "Serenata" (Serenade)
anche qui l'autore mise in scena qualcosa che si avvicinava ai personaggi di
Sheakespere, ma non ebbe la stessa fortuna dei western. Nel 1957 diresse un film
di guerra "Uomini in guerra" (Men in War) con Robert Rayn, lo stesso Mann ne era
orgoglioso lo girò in 24 giorni e per la prima volta nella storia del cinema
americano non ebbe l'assistenza dell'esercito perché lo ritenne un possibile
fiasco.
Nel 1958 torna al suo genere per l'ultimo western della carriera "Dove la terra
scotta" (Man of the West) con Gary Cooper, per alcuni un testamento del genere,
la chiusura della carriera del regista che si congedò dal western con un
personaggio interpretato in maniera ieratica, stanca, il volto segnato dalle
rughe. Un film la cui storia era simile agli altri girati con Stewart, ma qui
Cooper era violento e aveva desiderio di uccidere benché faceva tanto per
tenersi lontano da questo modo di essere. Arrivati agli anni Sessanta Anthony
Mann era un regista affermato, che dal West aveva appreso tutto ed ora era
pronto per passare all'epica girando "Spartacus", 1960, con Kirk Douglas, un
kolossal per la Universal. La lavorazione andò male sin dall'inizio e questo ne
determinò l'allontanamento dal set e la rinuncia a giralo, benché le prime
sequenze erano le sue. Mann ne rimase amareggiato, il soggetto gli piaceva e il
personaggio Spartaco aveva l'idea di quel tipo di eroe manniano che lotta per
arrivare alla vittoria. Così decise di girare "Cimarron" non un remake del 1930,
ma una nuova versione della storia degli Stati Uniti con protagonista Glenn
Ford. Anche qui ha problemi con la produzione e con i produttori della Mgm che
erano troppo attenti ai costi che lievitavano cosicché Mann si dovette arrendere
e girare un film molto contenuto sul piano della storia e con un Glenn Ford
abbastanza pacato nello stile recitativo.
Altri due film epici attendono il regista, "El Cid" 1961, opera accuratamente
preparata con lunghi soggiorni in Europa, grande dispiegamento di mezzi e
soprattutto un valido attore come Charlton Heston ad interpretare El Cid in
maniera vigorosa ed energica., grazie anche ad una ottima sceneggiatura. Mann
conduce la macchina da presa in maniera memorabile filma ampi spazi ed è l'unico
forse negli anni Sessanta a saper dominare e filmare il panorama.
A seguire "La caduta dell'impero romano" (The Fall of the Roman Empeire), uscito
solo nel 1964, dedicato alla storia della fine di Roma e del suo impero. Un film
giudicato da tutti poco riuscito, fiasco ai botteghini e bancarotta del
produttore Samuel Bronston, con un grande cast internazionale, girato
interamente fuori dagli Stati Uniti, forse per non avere troppe pressioni da
parte dei produttori, sebbene lo stesso Bronston gli abbia fornito ogni mezzo
per creare un'opera di valore, ma che lui stesso si intromise spesso per
modificare certe scene. Mann voleva solo dimostrare come un magnifico e
gigantesco impero crollava sotto la violenza barbara, ma evidentemente in pochi
avevano capito questo significato.
Così chiudeva la carriera di regista con l'ultimo film dedicato al periodo
nazista "Gli eroi di Telemark" (The Heroes of Telemark), 1965, con un forte
richiama al genere da lui tanto amato, il western, con silenzio rappresentato
dal gelido inverno nevoso, svolge una storia avventurosa con protagonisti Kirk
Douglas e Laurence Harvey. Un film pessimistico, con alcuni momenti da thriller,
è un congedo, Mann si spegnerà sul set, che rappresenta la fine di un'epoca
nella quale non sarà mai più possibile realizzare opere come queste.
La critica lo snobbò per anni e forse tuttora, ma non il pubblico che caloroso
acclamava le sue opere, i francesi furono gli unici in Europa ad accorgersi del
suo talento e ne "I Cahiers du Cinèma" lo elogiarono (fu posto fra i migliori
quattro del dopo guerra con Nicholas Ray, Richard Brooks e Robert Aldrich) per
poi dimenticarsene definitivamente subito dopo la sua prematura morte.
Rimane nella memoria quel progetto mai realizzato, di voler portare sullo grande
schermo il "Re Lear" con John Wayne come protagonista, ultima idea manniana di
un uomo che raggiunse il potere e costruì un impero gigantesco, per poi vederlo
sgretolarsi sotto i suoi occhi.
G.R.
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