Forse nella storia del cinema non ci sarà mai più un’altra Marylin, quella che
ricordiamo nei film oggi ci lascia una profonda malinconia, perché nel rivederla
ci accorgiamo che oltre ad essere stata una delle donne più belle del mondo, era
un attrice dotata di un talento immenso, persino geniale.
Si chiamava Norma Jean Baker e la sua vita si presentò tormentata fin dalla
nascita: non seppe mai chi fosse il padre, un meccanico di nome Martin Edward
Mortensen, un impiegato di un laboratorio cinematografico di nome Charles
Stanley Gifford, o un tale John Newton Baker, padre di sua sorella e suo
fratello maggiori. Neppure le biografie moderne riescono a sciogliere l’enigma,
si è sempre chiusa la ricerca con la storia che il padre vero fosse morto in un
incidente d’auto appena nata la piccola.
Marilyn fu affidata sin dai primi anni di vita ad un orfanatrofio, poiché la
madre, Gladys Pearl Monroe, era impazzita, e la sua famiglia materna aveva una
tara: sia il nonno che la nonna finirono i loro giorni in un manicomio. Forse
questi aspetti la segnarono per tutta la sua vita. Si racconta che Norma Jean,
nata il 1 giugno 1926 al General Hospital di Los Angeles, quando venne affidata
all’orfanatrofio ebbe una stanza le cui finestre affacciavano sull’insegna al
neon che sovrasta gli studi della RKO. Lei stessa disse una volta che quando
aveva 9 anni, nel periodo natalizio, ci fu una festa organizzata proprio dalla
vicina casa di produzione e che evidentemente la colpì molto e forse fu questo
lo spunto che la fece appassionare al cinema e la spinse in seguito a vacare
l’ingresso della 20th Century Fox. Quando finì la seconda guerra mondiale Norma
Jean lavorava presso una fabbrica che collaudava paracaduti e un giorno un
fotografo incaricato di fare foto di propaganda la immortalò. Fu questo l’inizio
della sua carriera. Iniziò come pin-up e cover-girl per pubblicità e ottenne in
seguito un provino con la Fox. Ben Lyon, attore e talent-scout, decise di
cambiargli il nome, Marylin, come ricordo di una diva del passato Marylin
Miller, e Monroe dal nome della nonna da sposata.
Subito gli furono affidate due piccolissime parti nel 1948 “You Were Meant for
Me” e “Green Grass of Wyoming”, mentre in “Scudda Hoo! Scudda Hay” (1948) la
parte gli fu tagliata e la Fox non le rinnovò più il contratto.
Non si scoraggiò mai, anzi frequentò a New York l’Actor’s Studio, scelse uno dei
più bravi maestri della scuola e imparò tantissime cose, non solo si servì di
ammiratori, consiglieri e mecenati, come Johnny Hyde più anziano di lei di
trent’anni). Questo gli valse una particina per la casa di produzione Columbia,
in “Orchidea bionda” (Ladies of the Chorus), 1948 che la vide persino apparire
nei titoli di testa e a seguire con Groucho Marx in “Amore sui tetti” (Love
Happy) 1949. Nel 1950 per la Metro-Goldwyn-Mayer viene chiamata da John Huston
in “Giungla d’asfalto” (The Asphalt Jungle), interpretando la parte della
ragazza di un avvocato corrotto.
Il primo vero successo arrivò quando fu riscritturata per la Fox nel film “Eva
contro Eva” (All About Eve), 1950 di Joseph Manckiewicz, un film che ebbe un
grande incasso vinse numerosi Oscar e la fece conoscere ed apprezzare al grande
pubblico. Così le sue parti divennero più corpose, più lunghe e il suo primo
film da protagonista fu nel 1952 “La tua bocca brucia” (Don’t Bother to Knock),
al pubblico piacque poco, ma la Monroe vestiva panni in parte autobiografici e
fece una buona interpretazione.
Nel 1953 la bionda attrice divenne una vera e propria star, fu chiama per tre
film “Niagara” (Niagara) con Joseph Cotten, un melodramma passionale a tinte
gialle, indimenticabile la scena in cui si allontana di spalle dalla macchina da
presa ondeggiando sui tacchi vertiginosi. A seguire due musical “Gli uomini
preferiscono le bionde” (Getlemen Prefer Blondes) in coppia con Jane Russell e “
Come sposare un milionario” (How to Marry a Millionaire) con Betty Gable e
Lauren Bacall, sebbene ci fossero altre due star sul set, lei fu la protagonista
indiscussa di tutti e due i film, mettendo in mostra un corpo mozzafiato e una
buona dose di intelligenza e un lato comico tutto da scoprire come nelle scene
in cui miope sbatte contro tutti i muri che incontra. Nel 1954 viene chiamata
per un altro musical “Follie dell’anno” (There’s No Business Like Show Business)
qui nei panni di una star del musical s’inventa una voce da bambina e prende in
giro il genere musicale. Sempre nello stesso anno gira “La magnifica preda”
(River of No Return) con Robert Mitchum diretta da Otto Preminger, che ammise di
aver faticato non poco a dirigerla sul set. Nel 1955 è il regista Billy Wilder
la dirige e la porta al successo planetario con “Quando la moglie è in vacanza”
(The Seven Year Itch), la Monroe affascina col suo personaggio svampito, tiene
il passo della comicità con Tom Ewell e rimane celebre la scena in cui una
folata di vento le fa alzare la gonna.
Nel 1956 il regista Joshua Logan la dirige in “Fermata d’autobus” (Bus Stop) in
una interpretazione vivacissima sopra le righe tanto da renderla ancora più
celebre e richiesta sul set. Forse questo la fece innervosire, la cambiò di
carattere tanto da farla diventare un attrice detta “difficile”. Sui set la sua
presenza divenne sporadica, mai puntuale al ciak. Si trasferì da Hollywood a New
york per tornare a frequentare l’Actor’s Studio dal maestro Lee Strasberg e sua
moglie Paula. La Monroe si era sposata a 16 anni, ma nel 1954 si risposa con il
famoso giocatore di basball Joe Di Maggio, l’unione durò appena un anno.
L’attrice cercava forse qualcosa che la potesse soddisfare sul piano culturale e
così decise di sposarsi per la terza volta con il drammaturgo Arthur Miller e
interpretò per la prima volta un film più inpegnato accanto al celebre attore
inglese Laurence Olivier ne “Il principe e la ballerina” (The Prince and the
Showgirl) nel 1957.
La vita però non gli regalò delle soddisfazioni personali cosicché iniziò a
intossicarsi di farmaci e psicofarmaci e finì più volte in alcune cliniche per
disintossicarsi. Il lavoro peggiorava sul set era imprevedibile, distaccata
sembrava che non gli importasse più nulla di nulla.
Nel 1959 ancora il regista viennese Billy Wilder la chiama per “A qualcuno piace
caldo” (Some Like It Hot), fu una parentesi felice, si divertì con i suoi
partner Tony Curtis e jack lemmon e la sua interpretazione brillò nuovamente.
L’anno dopo chiamata per “Facciamo l’amore” (Let’s make Love) il regista George
Cukor non seppe catturarla sul piano della recitazione, non gli diede la parte
giusta e lei stessa ne rimase delusa. Nel 1961 John Huston la vuole in un film
malinconico, l’ultimo forse, sceneggiato dal suo marito Miller in un dramma che
si ispirava proprio alla vita della Monroe.
L’attrice si presentò sul set stanca, intontita da narcotici e priva di
spontaneità. Ma a rivederlo oggi in quel film mostra un grande spessore
recitativo, una malinconia senza precedenti e un corpo ancora in piena forma. La
crisi con il marito era ormai all’apice e Cukor tentò di richiamarla sul set in
“Something’s Got To Give” sul set la si vide poco si dice solo dodici volte in
un mese, la Fox la licenziò e gli chiese i danni; sette settimane dopo era il 5
agosto 1962 aveva 36 anni, morì per una dose forse eccessiva di psicofarmaci. Il
mondo si fermò un attimo appena seppe questa terribile notizia, Marilyn non
c’era più, ma rimanevano i suoi film, le sue grandi interpretazioni, sempre
originali, comiche, sensuali.
Rimaneva il mistero di come morì esattamente, al quale tutt’oggi appassiona
ancora molti, ma la cosa che ancora oggi deve essere capita è che fu un’attrice
di vero talento, che amava la cultura, la cercava in tutti i modi perché grazie
ad essa ne sarebbe uscita da quella grande prostrazione nella quale finì nel
corso degli ultimi anni. Riuscì, e forse fu l’unica star di Hollywood, a far
innamorare tutti gli uomini del mondo e lei stessa lo sapeva, infatti diceva
sempre: “Non mi interessa il denaro, voglio solo essere meravigliosa!”. Fu
sepolta con un abito color verde dello stilista italiano Emilio Pucci.
G.R.
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