Fu definita “la dea peccato”, ma più che peccato metteva in evidenza quel modo
di fare e interpretare la moda che avrebbe poi rivoluzionato i costumi sessuali
di tutti nei futuri sessant’anni.
Ben poco si sa della sua famiglia, e anche di lei è incerta la data di nascita
se sia 1893 o 1986, la cosa certa che non arrivò nel mondo dello spettacolo già
adulta, ma fece la gavetta cominciando a lavorare sin dall’età di sei anni. Le
parti che fece erano le più svariate e aveva impersonato tutti i tipi di bambini
che il teatro avesse a disposizione dal “Piccolo Lord” alla piccola Eva.
La sua carriera mutava con l’andare avanti degli anni, e più maturava più i suoi
ruoli cambiavano e così era apparsa come la “Baby Vamp”, aveva inventato lo
“shimmy”, un ballo in quegli anni in America fu un hit, nel 1926 era divenuta
una stella nel vaudeville e nel teatro era richiestissima con le commedie
scritte di suo pugno. È qui che nasce la sua vivacità di donna sessualmente
emancipata, certi titoli come “Sex”, “Diamond Lil”, “The Costant Sinner” e “Pleasure
Man” raccontavano storie, ma con risvolti all’epoca molto pesanti sotto il
profilo morale dei costi in quel periodo. Ad esempio in “The Drag” la storia
parla di alcuni omosessuali, ma questa commedia non riuscì ad arrivare neppure a
New York per paura che scatenasse all’interno della comunità accese
contestazioni. “Pleasure Man” ebbe un processo per oscenità, combattutissimo in
aula, ma che alla fine fece trionfare la stessa West. La leggenda volle che Mea
West divenisse icona di un atteggiamento perverso e scandaloso, ma questo
episodio del processo ad una sua commedia tende a significare che la donna, si
lanciava in argomenti scabrosi, ma poi alla fin fine non osava più di tanto, e
forse aveva un’ironia che all’epoca non fu capita in pieno.
Era l’unica del suo tempo a trattare il sesso in una chiave quasi comica, le sue
battute allusive come “E’ una pistola che hai in tasca o sei solo contento di
vedermi?” lasciavano in imbarazzo la gente del tempo, oggi risulterebbe tutto
più semplice, ma al tempo fu indicata come una donna dai costumi negativi,
mentre una valanga di puritani gli si scagliavano addosso quotidianamente.
Fu proprio nel 1928, dopo continue proteste e procedimenti giudiziari, che si
convenne di creare un proprio codice morale da applicare agli spettacoli
teatrali, per molti fu un passo in avanti verso una cultura moderna che
tutelasse i ben pensanti, ma per altri fu un passo indietro nei confronti della
libertà di parola.
Se il teatro aveva trovato la sua censura, il cinema non aveva ancora fatto
questo passo, e così la West la diva si cimentò nella celluloide e divenne per
così dire ‘la parodia del sesso’. Questo perché si presentò sulla scena non più
giovane, ma di mezza età e il suo corpo non appariva più rotondo, ma piuttosto
in carne, e il trucco che usava la rendeva già massiccia e fuori tempo. Gli
abiti indossati ne concludevano il personaggio: piume e volant stile Belle
Epoque e tant’altri vestiti-costumi tipici della sua maschera che la rendevano
sessualmente intrigante quanto mai inimitabile per quell’epoca.
Nel cinema faceva l’interprete di se stessa e come la si vedeva fuori nella
realtà così era nelle pellicole, le quali erano curate dalla stessa West nella
sceneggiatura scritta di suo pugno, gli attori che partecipavano al film
venivano anch’essi scelti dalla diva e il regista comandato a bacchetta.
Era o meglio sembrava una sorta di clown, ogni cosa che le stava intorno
diventava una ridicolo, ne riusciva a smorzare il significato a favore di una
risata. Dominava la scena, era un personaggio cinematografico nella perfetta
definizione di questo termine.
Bastò il primo film nel 1932 “Night After Night” a far capire ai produttori che
era meglio per loro dargli carta bianca che mettersela contro. Già in questo suo
primo film, mai nessuna donna ebbe il suo potere: di scrivere la sceneggiatura
del film e di guidare il regista, Archie Mayo, alla realizzazione del film.
Così il suo secondo film divenne uno dei più importanti degli anni Trenta, “Lady
Lou” (She Done Him Wrong), 1933, storia ripresa dalla sua commedia teatrale “Diamond
Lil’”, racconta la vita di una donna di facili costumi e dei suoi uomini fino
alla sua probabile redenzione. Quest’opera sbancò i botteghini, portando al
successo commerciale la Paramount, che in quel periodo aveva delle perdite
finanziarie gravissime e stava per finire assorbita dalla Mgm.
A seguire la Paramount, che l’aveva sotto contratto, la ingaggiò in “I’Am No
Angel”; altro successo, nel quale interpretava una cantante di night-club che
allo stesso tempo faceva anche la domatrice di leoni. Una commedia divertente
che la West si fece prestare dal suo amico Lowell Brentano, riadattando il
protagonista a lei stessa e alla sua espressione di star.
Tutti i suoi personaggi fanno parte di se stessa, ogni protagonista si modella a
sua immagine, ma a guardar bene ci sono due Mae West: una intesa come persona,
l’altra come prodotto. E quando la diva non sceneggiava i film o sceglieva i
suoi partner o ancora non dominava i registi come Wesley Ruggles o Lowell
Sherman, doveva sottostare a direttori come Leo McCarey, allora il discorso
cambiava e la produzione subiva un infiacchimento come nel film “Belle of the
Nineties”, 1934 diretto dal sopracitato regista. Debole riuscita di una commedia
musicale, si vedeva chiaramente che le idee non erano quelle della West e il
risultato non poteva dirsi come nelle due opere precedenti positivo.
A questo si aggiunse l’entrata in vigore come nel teatro di un codice di
moralità, il codice Hays, severissimo, in particolar modo nei suoi confronti.
Così nel 1934 il film “Belle of the Nineties” fu messo sotto analisi parola per
parola e scena per scena, l’attrice qui anche sceneggiatrice si vide costretta a
cambiare frequentemente i dialoghi e anche il titolo fu cambiato in “It Ain’t No
Sin” (Non è peccato). Nonostante tutta questa turbolenta lavorazione, il film
all’uscita piacque al pubblico, lo divertì ed ebbe un buon successo al
botteghino.
A Seguire la West fece “Goin’ to Town”, 1935, nella quale interpreta la vedova
di un ladro di bestiame, appassionata di canto canta un’aria dal “Sansone e
Dalila” e da quel momento diventa una star dell’alta società. Un film folle per
certe scene, ma che segnò l’inizio di un declino che doveva primo o poi essere
prevedibile, visti gli argomenti e le censure che la perseguitavano.
Per risollevare le sue sorti certo in W.C.Fields un partner allettante e
divertente per il pubblico e così nel 1940 interpretò “My Little Chickadee”
riportandosi nuovamente al successo. Ma ancora la censura la perseguitava e le
difficoltà aumentavano sempre di più.
Nel corso degli anni passò alla radio, poi tornò verso la metà degli anni
Quaranta al teatro con i suoi cavalli di battaglia come “Diamond Lil’” e si
divertì anche in qualche cabaret di Las Vegas negli anni Cinquanta. Nel 1943
tornò sullo schermo in The Heat’s On”, non era particolarmente bello, lei era
ancora fantastica, ma qui finiva la sua carriera nel mondo del cinema. Solo
negli anni Settanta la si rivide sullo schermo in “Caso Myra Breckinridge” (Myra
Breckinridge), 1970, piccola apparizione e nel 1978 in “Sextette”, film
bizzarro, sicuramente non adatto a lei e alla sua età.
Quando morì a Hollywood nel 1980 divenne immediatamente un mito, la censura fu
la sua condanna a morte e il non poter dire o trasformare a parole ciò che
intendeva, la trascinò ben presto via da quel luogo chiamato cinema, ma fu
proprio il cinema a renderla una Star ancor’oggi immortale..
G.R.
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