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IL GRANDE CALDO
(The Big Heat)
Regia: Fritz Lang
Cast: Glenn Ford ... Det. Sgt. Dave Bannion
Gloria Grahame ... Debby Marsh
Jocelyn Brando ... Katie Bannion
Alexander Scourby ... Mike Lagana
Lee Marvin ... Vince Stone
Jeanette Nolan ... Bertha Duncan
Peter Whitney ... Tierney
Willis Bouchey ... Lt. Ted Wilks
Robert Burton ... Det. Gus Burke
Adam Williams ... Larry Gordon
Howard Wendell ... Police Commissioner Higgins
Chris Alcaide ... George Rose
Michael Granger ... Hugo
Dorothy Green ... Lucy Chapman
Carolyn Jones ... Doris
Ric Roman ... Baldy
Dan Seymour ... Mr. Atkins
Edith Evanson ... Selma Parker
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Sceneggiatura: Sidney Boehm dal racconto di William P. McGivern
Fotografia: Charles Lang jr.
Montaggio: Charles Nelson
Scenografia: Robert Peterson
Costumi: Jean Louis
Trucco: Clay Campbell, Helen Hunt
Musiche: Daniele Amfitheatrof dirette: Mischa Bakaleinikoff
Produttore: Robert Arthur per la Columbia Pictures
Anno: 1953 Nazionalità: USA b/n 90 min.
Il sergente Dave Bannion (Ford) indaga sul suicidio di Ducan, un ex poliziotto. Mentre la moglie imputa il gesto alla disperazione per un male incurabile, Ducan viene a sapere, che era al soldo della gang di Lagana (Scourby), un boss mafioso. La mafia gli uccide la moglie e lo costringe alle dimissioni, ma lui prosegue l’indagine da solo, aiutato da Debbie (Graham), l’amica di Vincent Stone (Marvin), braccio destro di Lagana.
Un capolavoro del noir, archetipo e in anticipo sui tempi, centrato sulla figura del giustiziere solitario che si adegua al comportamento del nemico. Dietro l’intreccio poliziesco, Lang si concentra sui temi a lui cari come quelli della colpevolezza universale e dell’ambivalenza degli esseri umani. Straordinaria nel suo ruolo infantile e perverso insieme Gloria Graham, con il volto “langhianamente” diviso in due: metà faccia affascinante, metà orripilante per la bruciatura del caffè che le ha tirato a dosso Marvin. Sia lei che Ford interpretano due personaggi che (come già lo Spercer Tracy di “Furia”) diventano violenti secondo l’idea centrale in Lang che ogni uomo nasconde in sé potenzialità d’assassino. Lo stile modernissimo, secco e aggressivo, allora venne giudicato troppo violento. Ma alla violenza mostrata si contrappone sempre quella fuori campo (la morte della moglie): segno di una mortalità della visione aliena da ogni effettismo. Degna dell’espressionismo la sequenza iniziale del suicidio. Il titolo, tradotto alla lettera nell’edizione italiana, è in realtà un’espressione gergale per indicare un’intensa attività di polizia contro la criminalità. Uscì nelle sale il 14 ottobre 1953.
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